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Decreto repressione

Decreto repressione

Il nuovo decreto repressione è stato approvato dal Consiglio dei Ministri, annunciato dai media come “decreto sicurezza bis”. Dopo alcune settimane di incertezza segnate dal confronto in atto tra i partiti di governo nel corso della campagna elettorale, lo scorso 11 giugno, dopo i risultati dei ballottaggi per le amministrative, nonostante la sceneggiata della crisi di governo le nuove norme repressive sono state varate, come ormai è normale, con decreto d’urgenza.

Nell’ultimo mese e mezzo sono state annunciate, commentate e criticate da vari media, ufficiali e non, differenti versioni del decreto, ma appena è stata resa pubblica la prima bozza è stato chiaro che questo testo avrebbe rappresentato un’ennesima stretta per impedire i salvataggi in mare e per criminalizzare e reprimere ulteriormente le manifestazioni. Quella appena varata dal governo è un’ulteriore legge assassina che colpisce chi attraversa il mare cercando di arrivare in Italia e chiunque voglia cercare di salvare in mare queste persone. Ma è anche una legge che chiude ulteriormente i margini di agibilità politica e sindacale, di libertà di espressione e manifestazione, già fortemente ristretti negli ultimi anni, e comunque sempre soggetti al controllo e alla repressione da parte del governo attraverso la polizia. Inoltre viene irrigidito ancora di più il già robusto impianto legislativo di disciplinamento del mondo delle tifoserie sportive, in particolare degli stadi, ormai da un trentennio vero laboratorio di misure repressive da estendere poi su tutta la società.

Da oggi per una sciarpa e un cappuccio tirato giù per non farsi riprendere, per essersi messi in mezzo per impedire una prepotenza o una violenza della polizia, per aver fatto una scritta o affisso un manifesto durante un corteo, si potrà finire in carcere più facilmente. Anche oggi ovviamente è possibile, ma se fino a ieri ad esempio il reato di travisamento prevedeva una pena da 1 a 2 anni di arresto, oggi per chi viene condannato per aver in qualche modo coperto il volto durante una manifestazione, è fissata una pena da 2 a 3 anni. Dunque anche chi è incensurato e mantiene ancora intatti i 2 anni di condizionale, può subire una restrizione della libertà.

È bene allora capire cosa effettivamente contiene questo decreto. Perché riguarda tutti noi. Prenderò esclusivamente in esame la parte riguardante le manifestazioni, perché penso sia importante da mettere in evidenza, e perché è quella su cui, pur non essendo un esperto di diritto, posso fare alcune considerazioni.

Il decreto appena varato è composto di 18 articoli, di questi solo due, gli articoli 6 e 7, riguardano le manifestazioni, ma sono particolarmente significativi perché criminalizzano la partecipazione alle manifestazioni, considerandola non solo un’aggravante, ma uno specifico pericolo che necessita una distinzione rispetto a tutte le altre circostanze in cui i reati sono commessi. Questi articoli vanno a modificare, in senso peggiorativo sia la Legge Reale, legge assassina di “ordine pubblico” del 1975, sia il Codice penale che, è sempre bene ricordarlo, è ancora il vecchio codice del 1930 che porta il nome del ministro fascista Rocco. Vediamo queste modifiche nel dettaglio.

– Modifica dell’articolo 5 della Legge Reale: prevede che per l’uso “di caschi protettivi o di qualsiasi mezzo atto a rendere difficoltoso il riconoscimento” durante manifestazioni pubbliche, “il contravventore è punito con l’arresto da 2 a 3 anni e con l’ammenda da 2000 a 6000 euro”. Finora era previsto in ogni caso l’arresto da 1 a 2 anni e l’ammenda da 1000 a 2000 euro sia nelle manifestazioni pubbliche sia in genere in luoghi pubblici, adesso questo riguarda solo i fatti avvenuti in un luogo pubblico. Con la modifica prevista dal nuovo decreto la pena è più severa se il fatto avviene nel corso di una manifestazione pubblica. Rimane la facoltà dell’arresto in flagranza in ogni caso.

– Aggiunta di un articolo 5-bis alla Legge Reale: prevede la reclusione da 1 a 4 anni per “chiunque, nel corso di manifestazioni in luogo pubblico o aperto al pubblico, lancia o utilizza illegittimamente, in modo da creare un concreto pericolo per l’incolumità delle persone o l’integrità delle cose, razzi, bengala, fuochi artificiali, petardi, strumenti per l’emissione di fumo o di gas visibile o in grado di nebulizzare gas contenenti principi attivi urticanti, ovvero bastoni, mazze, oggetti contundenti o, comunque, atti a offendere”. Introduce un nuovo reato per poter perseguire severamente dei comportamenti che precedentemente non costituivano di per sé reato specifico. Finora alcuni dei casi elencati venivano riferiti ad altri reati più generici come “accensione pericolosa” (art. 703 cp) o non erano perseguibili se non in un quadro più ampio, come ad esempio nel caso delle “circostanze aggravanti” (art. 339 cp). Tali comportamenti, pure se sanzionabili, certo non erano punibili con la reclusione da 1 a 4 anni, a meno che non costituissero un’aggravante per altri reati come resistenza o minaccia a pubblico ufficiale. Oggi questi comportamenti possono essere perseguibili anche senza che si verifichi violenza o resistenza.

– Modifica dell’articolo 339 del Codice penale, “circostanze aggravanti”: la circostanza che il fatto sia commesso durante una manifestazione pubblica viene inserita tra gli elementi che costituiscono aggravante per i reati di resistenza, violenza e minaccia a pubblico ufficiale, e di violenza a corpo politico, comportando un aumento della pena. Finora questa circostanza aggravante non era prevista in alcun modo, e non può essere in alcun modo assimilato a fattori aggravanti già previsti come il concorso di più persone in un reato (art 110. cp).

– Modifica dell’articolo 340 del Codice penale, “interruzione di pubblico servizio”: la modifica prevede che chi commette il fatto nel corso di una manifestazione pubblica possa essere punito con la reclusione fino a 2 anni. Finora non veniva distinta la circostanza specifica, in ogni caso di interruzione era previsto l’arresto fino a 1 anno, che rimane la punizione prevista al di fuori dei casi di manifestazione pubblica. La modifica di questo reato va ad inasprire le pene su una materia particolarmente delicata. L’interruzione o la turbativa di pubblico servizio può essere infatti contestata in una grandissima varietà di situazioni molto comuni, ad esempio il rallentamento dei mezzi di trasporto pubblico in una manifestazione non preavvisata o che non segua alla lettera quanto preavvisato, un presidio o picchetto che in qualche modo interferisca con le attività di un servizio pubblico, una protesta durante un consiglio comunale o una qualsiasi simile circostanza, l’occupazione di una scuola o di un’università. Dal momento che l’innalzamento della pena riguarda solo la circostanza della manifestazione è evidente la natura esclusivamente repressiva di questa modifica.

– Modifica dell’articolo 419 del Codice penale, “devastazione e saccheggio”: la modifica prevede un aumento della pena nel caso in cui il reato sia commesso nel corso di una manifestazione pubblica. In questi casi la pena prevista da 8 a 15 anni di reclusione può essere aumentata anche fino a 20 anni. La circostanza della manifestazione è inserita tra le aggravanti speciali del secondo comma, la partecipazione a una manifestazione è quindi posta sullo stesso piano del saccheggio di viveri, che costituisce pericolo per il sostentamento della popolazione. Si tratta di un argomento molto controverso, dal momento che questo reato, pensato per contesti gravi ed eccezionali, di guerra o di calamità, è servito negli ultimi anni ad infliggere condanne molto pesanti nei confronti di manifestanti ritenuti responsabili di danni particolarmente gravi. Da oggi il reato comprende anche ufficialmente i comportamenti che possono darsi durante manifestazioni, equiparate definitivamente a contesti di guerra o comunque eccezionali.

– Modifica dell’articolo 635 del Codice penale, “danneggiamento”: prevede per chi commette il fatto nel corso di una manifestazione pubblica la reclusione da 1 a 5 anni. Finora in tutti i casi, compreso esplicitamente quello di manifestazione pubblica era prevista la reclusione da 1 a 3 anni, che rimane la pena prevista al di fuori dei casi di manifestazione. Consideriamo che ormai spesso vengono ricondotti al reato di danneggiamento anche comportamenti che fino ad alcuni anni fa non venivano di solito perseguiti o venivano compresi in reati più lievi, ad esempio per una scritta su un muro oggi viene sempre più spesso contestato il danneggiamento.

Da un semplice elenco delle modifiche introdotte dal decreto del governo, appare evidente che si punta a colpire la libertà di manifestare, a intimorire i manifestanti, ad alimentare la paura di scendere in piazza. Se ciò non bastasse consideriamo che nelle prime bozze erano contenute anche modifiche al Testo Unico delle Leggi di Pubblica Sicurezza di epoca fascista, del 1931, che tutto regola, tra le altre cose proprio le manifestazioni pubbliche. Con modifiche agli articoli 18 e 24 si innalzavano le pene per chi non ubbidiva all’ordine di discioglimento di una manifestazione non autorizzata, si imponeva come pena, seguendo un principio di responsabilità collettiva e non oggettiva, fino a 1 anno di reclusione per chi viene individuato come organizzatore, promotore o oratore in una manifestazione durante la quale si siano verificati i reati di danneggiamento e di devastazione e saccheggio. Inoltre le prime versioni proponevano anche un innalzamento delle pene per oltraggio a pubblico ufficiale, e un nuovo reato per punire chi utilizza protezioni durante manifestazioni. È dunque evidente la volontà di attaccare la libertà di manifestazione.

Questo decreto repressione va inoltre considerato come una prosecuzione del decreto 4 ottobre 2018 n. 113, convertito in legge lo scorso dicembre. Con quel provvedimento venivano ulteriormente inasprite le pene per occupazione, già rese molto più severe negli ultimi anni, inoltre era reso nuovamente perseguibile a livello penale il blocco stradale, che era stato depenalizzato nel 1999. Queste sono pratiche molto comuni nei movimenti di lotta perché sono forme di intervento semplici ed efficaci, si pensi all’occupazione di scuole, università o luoghi di lavoro, ai picchetti e ai blocchi in caso di sciopero, ai blocchi stradali o alle occupazioni dei terreni dei cantieri nei casi di proteste contro progetti nocivi per la popolazione.

Il primo decreto repressione inseriva inoltre la violenza a pubblico ufficiale, il blocco stradale e il mancato rispetto dell’ordine di discioglimento di una manifestazione, tra quei reati che comportano la perdita del titolo di soggiorno per chi si trova nella condizione di richiedente asilo, di cittadino di altro paese con permesso di soggiorno o di beneficiario di una forma di protezione internazionale. Era inoltre innalzato a 6 mesi il periodo massimo di detenzione all’interno dei CPR.

Il primo decreto repressione è stato emanato allo scopo di rompere ogni legame di solidarietà, per impedire che si possano creare terreni comuni di lotta, imponendo più gravi conseguenze penali ai non cittadini italiani, che si possono trovare in condizione di clandestinità se lottando per migliorare le proprie condizioni di vita o di lavoro infrangono delle leggi sempre più restrittive. Il secondo decreto repressione distingue tra cittadini comuni e manifestanti, i secondi saranno puniti più severamente per gli stessi reati. Da sempre in realtà certi reati sono perseguiti con maggiore zelo nei confronti di chi protesta, di chi si ribella, di chi partecipa a manifestazioni. Tuttavia con questo nuovo provvedimento si stabilisce una distinzione sistematica e strutturale, prevedendo sempre pene più severe quando i reati sono commessi durante manifestazioni.

Il nuovo decreto repressione, così come quello che lo ha preceduto, si inserisce in una più generale stretta autoritaria, avviata almeno dal 2008 con i pacchetti sicurezza di Maroni. Da notare che una parte consistente del primo decreto repressivo del governo Lega/M5S non sarebbe stata possibile senza i provvedimenti su “sicurezza urbana e immigrazione” che portano il nome degli ex ministri Minniti e Orlando del PD.

Questa legislazione repressiva è messa in atto da governi che possono contare su un consenso sempre meno ampio. Pur non dovendo far fronte ad un’opposizione sociale diffusa, forte e conflittuale, l’azione del governo può su più fronti doversi confrontare con lotte, proteste, movimenti di piazza, spesso slegati dai principali partiti e, pur tra molte contraddizioni, difficilmente recuperabili a livello istituzionale nell’immediato. Questo è particolarmente evidente nella voglia dei più giovani di scendere in piazza, nella lotta antifascista e contro il governo, nel nuovo movimento femminista, nei conflitti sempre più duri sui luoghi di lavoro, nella lotta per la casa, nell’opposizione alla guerra e alla militarizzazione, nei movimenti contro le grandi opere. Dobbiamo respingere il tentativo del governo di reprimere, isolare e infondere paura, che mira ad impedire che le energie nuove e le spinte più radicali presenti nella società si incontrino. Sappiamo bene che solo liberando queste potenzialità, solo con l’irrompere dei movimenti di lotta, solo con pratiche radicali diffuse nella società, si potranno conquistare nuovi orizzonti di libertà.

Dario Antonelli

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