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A casa l’esercito!

A casa l’esercito!

Cercando di non trascendere nella retorica, sarà utile restituire alcune cronache passate e recenti che oggi, a mio avviso, ci vedono costretti/non costretti a una condizione di quarantena volontaria/involontaria come superamento/contenimento del coronavirus/covid 19, un’epidemia/pandemia annunciata al mondo a partire dal mese di gennaio 2020.
Il vaso di Pandora dell’attuale “quarantena bis domestico”, applicato in Italia dal mese di marzo, sta mostrando nella sua interezza le diverse criticità radicali di una crisi annunciata, e il virus attuale è ancora una volta il pretesto per perpetuare pratiche inefficaci da parte di un sistema statale e capitalista che non si occupa del benessere di tutte e tutti ma si prende cura solo degli interessi e del profitto dove la salute, negli ultimi decenni, è stata gestita come una qualsiasi altra merce. È la ristrutturazione privatizzata della sanità, agita negli ultimi decenni, che ha permesso la libertà di cura solo a chi ha potuto permettersi di pagarsela in Italia e all’estero e ha creato, di fatto, cittadini di serie A e di serie B nell’accesso ai servizi riguardanti la salute. Vale a dire che ci sono state persone che hanno potuto ben curarsi pagando i servizi e chi, non avendo i soldi per pagarsi le diagnosi e le cure, ha dovuto perdere la maggior parte del tempo nei meandri venuti a determinarsi dopo i tagli al sistema sanitario i cui vuoti sono stati riempiti, invece, da pratiche burocratiche inutili che non sono certo da definirsi soluzioni efficaci alla cura fisica o al benessere mentale necessario quando si ha a che fare con una qualsiasi patologia.
I governi nazionali e locali tutti, uno dopo l’altro, non hanno quindi considerato la salute un bene universale e gratuito per tutte e tutti ma un’azienda equiparata, nella gestione, a un qualsiasi altro marketing praticato nelle società per azioni. Tutto questo ha generato la scomparsa e la chiusura di strutture sanitarie, già in numero esiguo, alla portata del cittadino, compresa l’eliminazione dei posti letto da destinare ai pazienti che sono stati trasformati in utenti e clienti.
Infatti la chiusura di reparti, di interi ospedali, di ambulatori e consultori, l’accorpamento di intere ASL, la chiusura di molti pronto soccorso, le liste d’attesa prolungate, la costrizione, per chi se l’è potuta permettere, di dover scegliere l’intramoenia, il taglio del personale medico e paramedico, l’esternalizzazione del personale sanitario, i finanziamenti a pioggia dello stato a cliniche e holding che emettono i servizi a pagamento, gli sgomberi e gli sfratti alle case antiviolenza autorganizzate dalle donne, il taglio alla ricerca e soprattutto il non investimento nella prevenzione per la salute e la cura della persona sono stati solo alcuni aspetti della presupposta “gestione” del sistema sanitario.
Non c’è stato alcun tipo di riguardo, inoltre, nei confronti delle nocività contro la salute universale da parte di tutto il corpo statale e capitalistico mercantile. Lo hanno dimostrato gli investimenti nelle fabbriche nocive diffuse su tutto il territorio (la più nota: l’Ilva di Taranto), la speculazione sull’immondizia, sui rifiuti tossici e sui terremoti, la cementificazione sfacciata e sfasciata in nome di un falso progresso, i cui morti si vanno ad aggiungere alle migliaia di deceduti per catastrofi e emergenze.
La ristrutturazione accelerata poi, avvenuta negli ultimi quarant’anni, nel mondo del lavoro, la delocalizzazione, la precarizzazione, l’indefinitezza dei contratti, i licenziamenti forzati, hanno toccato senza esclusione di sorta anche il personale sanitario.
La situazione di sovraffollamento nelle carceri e nei cpr, già nota da anni, con la diffusione del Covid 19 ha reso la situazione ancora più esplosiva.
Il quadro sanitario così mal gestito vede oggi una realtà dove l’unica soluzione che questo sistema gerarchizzato ci propone e prova a imporre è di rimanere “chiusi in casa” per contenere la diffusione virale e gestire in solitudine l’eventuale contagio dal Covid 19. Motivazione? Mancanza di posti letto, di possibilità di cura. Il risultato? Il numero dei deceduti, dei contagiati (tenendo conto che ci sono stati casi ufficialmente non diagnosticati e quindi non conteggiati nei dati ufficiali) equivalgono a quelli di una vera e propria strage annunciata che sta colpendo in massimo numero il ceto sociale medio basso che, crisi dopo crisi, è stato sempre più privato dei beni e dei mezzi di produzione e di protezione alla salute.
Intanto, a seguito delle diverse ordinanze e proibizioni, dai primi di marzo si è chiusa la didattica nelle scuole, molti lavoratori e lavoratrici sono costretti a casa senza possibilità di stipendio, altri costretti ad andare al lavoro per sostenere i fabbisogni fondamentali della popolazione e non è accertata la loro tutela sul posto di lavoro. Chiudono uffici, parchi, la parola d’ordine è: “tutti a casa”, “andrà tutto bene”. Siamo consapevoli che andrà tutto bene quando il fattore patogeno Covid 19 avrà trovato una sua stabilità, e che costringere a rimanere negli ambienti chiusi e soprattutto promiscui non potrà di certo definirsi la soluzione conclusiva nella gestione della propagazione ed evoluzione del Covid 19. L’arrivo della stagione calda influirà sicuramente sul rallentamento vero e proprio della diffusione dell’agente patogeno.
I media in main streaming diffondono senza tregua informazioni pseudoscientifiche sulla modalità della diffusione virale coltivando la paura del rischio biologico e non i saperi.
Il controllo nelle strade è affidato a polizia e corpi dell’esercito addestrati nel corso degli anni al controllo e al contenimento sociale.
La paura, l’isolamento, l’abbandono nelle case e nelle strade per chi un’abitazione non ce l’ha perché è stato sfrattato e sgomberato sono le soluzioni adottate per gestire la presupposta salute pubblica.
Le rivolte dei prigionieri e prigioniere nelle carceri e le proteste dei loro famigliari, così come le evasioni, si sono succedute in questi giorni in tutta la penisola. Anziché intraprendere delle soluzioni per la tutela anche della loro salute, stanno rimanendo nella condizione di sovraffollamento (8 per cella) senza possibilità dunque di protezione efficace a fermare il contagio.
Le ordinanze, i provvedimenti, il linguaggio sono quelli di un vero e proprio sistema militarizzato, di un vero e proprio coprifuoco con cui stanno cercando di coprire in tutta la loro essenza le mancanze degli anni passati.
Le strade oggi sono percorse dall’esercito ma chi sta sorreggendo il paese è tutto il personale sanitario che, sottodimensionato, sta lavorando con turni massacranti e con precari sistemi di prevenzione, esponendosi, più di ogni altro, al rischio del contagio. Sono i lavoratori e le lavoratrici che stanno garantendo l’approvvigionamento dei bisogni primari di noi tutti e ci stanno sostenendo in questo momento di crisi. La diffusione dell’esercito sul territorio, nei quartieri, nei parchi, lungo le spiagge non è scientificamente una soluzione provata alla limitazione del contagio, e anche questa inutile propaganda militarista avrà dei costi che ricadranno sulla salute di noi tutti, tenendo conto anche che si vanno ad aggiungere alle persone in circolazione e sfilando con “i mitra spianati luccicanti”. Questo sistema non si dimostra nella buona fede di aver operato, oggi come in passato, per il benessere di tutte e tutti.
Vista l’inutilità della loro presenza nelle strade e il rischio reale dell’agente patogeno Covid 19, dunque, che si mandi a casa l’esercito e si chiudano le caserme poiché i virus attraversano le frontiere e anche le divise. Perché non si stanno tagliando le spese per mantenere tutto l’apparato militare nel nostro paese e invece non si sta investendo da subito, e concretamente, nella tutela e prevenzione per la salute universale e gratuita di tutte e tutti?
È del tutto privo di credibilità dunque pensare che lo stato, i governanti e i padroni tutti, di ieri e di oggi, stiano agendo effettivamente, ancora una volta, nella volontà di trovare soluzioni efficaci nell’interesse universale e ciò dimostra quanto sia essenziale per la popolazione tessere la solidarietà dal basso con soluzioni concrete per sé fuori dalla delega, autogestite e autodeterminate, fuori dallo sfruttamento, dalla mercificazione e dalla diseguaglianza e quanto sia importante e necessario creare e gestire gli spazi con metodi realmente alternativi e solidali, rispettosi della dignità delle persone e dell’ambiente.
È il desiderio di libertà insieme all’azione concreta che muovono l’alternativa e l’utopia in una prospettiva libertaria per contrastare e fermare la regressione autoritaria. La ricerca di libertà non ha bisogno di previsioni poiché non essendo un concetto astratto ma una necessità primaria andrebbe pertanto coltivata, a mio avviso, attimo dopo attimo attraverso la lotta autorganizzata e autogestita, condivisa dal basso, in tutti i settori e gli ambiti della nostra vita.

Norma Santi

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