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Ci vorrebbe l’Anarchia

Ci vorrebbe l’Anarchia

La crisi sanitaria dovuta all’affiancarsi della pandemia da COVID-19 alle malattie che ordinariamente richiedono nei casi gravi un immediato ricovero in terapia d’emergenza cardio-respiratoria – che ha mandato al collasso i Sistemi Sanitari di tantissimi paesi, in particolare quelli che avevano portato più avanti le ricette neoliberiste di sfascio della sanità pubblica – è l’argomento principe della discussione sia nell’ambito pubblico sia in quello privato. Adesso che in vari paesi il timore della morte, propria e dei propri cari, diminuisce gradatamente con l’affievolirsi in molte nazioni del numero di nuovi contagi, morti e, gradatamente, soprattutto, si rendono nuovamente liberi i posti letto di terapia di emergenza che si erano intasati nei momenti peggiori, sta subentrando un nuovo timore: quello di una crisi economica senza precedenti nella memoria di quasi chiunque adesso vive nel pianeta.

In questo periodo, infatti, lo sfascio della sanità pubblica ha fatto sì che la segregazione sociale divenisse quasi ovunque inevitabile per evitare la catastrofe: ciò ha comportato quello che sappiamo bene, cioè la chiusura di un po’ tutte le attività produttive non essenziali formalizzate, nonché tutte quelle non formalizzate (“al nero” ed anche illegali in senso stretto) che si rivolgessero a settori considerati essenziali o meno. Già da ora la mancanza di reddito si fa sentire: ovviamente per chi è stato costretto ad interrompere completamente la propria attività ma, la cosa non va sottovalutata, per chi un reddito continua a mantenerlo ma fortemente diminuito (cassaintegrati, al lavoro ma senza straordinari che di solito integravano gli stipendi, ecc.), mentre le promesse di reddito in varie forme da parte governativa sono assai deboli e tardano ad arrivare.

Ora non c’è bisogno di scomodare Keynes ed il concetto di moltiplicatore/demoltiplicatore[1] per comprendere che ci troviamo di fronte ad una crisi che si prospetta ben più ampia e grave di quella del 2008:[2] questa, infatti, si sviluppò in gran parte in un settore soltanto, quello finanziario, che si allargò gradatamente a tutti gli altri. Ora, invece, siamo nella situazione in cui un gran numero di settori economici – pressoché tutti – sono andati in sofferenza contemporaneamente. Non solo: a differenza di tutte le crisi del passato postbellico recente, la vastità della crisi metterà presumibilmente in difficoltà anche le nazioni che sono riuscite ad affrontare la crisi riportandone meno danni, in quanto l’efficienza relativa del loro sistema sanitario ha permesso loro minori restrizioni: si tratta infatti di nazioni – l’esempio paradigmatico è la Germania – con un’economia votata soprattutto alle esportazioni, le quali avranno un calo drastico in virtù delle difficoltà degli altri paesi importatori.

È difficile fare previsioni esatte su situazioni di questo genere. In generale è un classico detto quello per cui la storia non si ripete mai uguale e questo vale anche per la storia economica, qui però la discussione non è sul se ci sarà – dato che ci siamo dentro fin da ora – ma sulla sua portata la quale, come abbiamo detto, si prospetta comunque di una portata notevole. Dobbiamo augurarci che non giunga alla portata o addirittura superi quella disastrosa del 1929, dove si giunse – letteralmente – alla morte per fame all’interno degli stessi pesi industrializzati dell’epoca.[3] È però estremamente probabile che il nostro sarà un futuro di disoccupazione crescente, calo del reddito e, per tantissimi, di sopravvivenza quotidiana, dato che fin da ora si vedono milioni di famiglie in Italia e centinaia di milioni nel mondo in difficoltà estrema persino dal punto di vista alimentare. Questo è lo scenario che già da ora dobbiamo affrontare e che rischia concretamente di peggiorare sempre più.

Sono in casi come questi che si avverte la mancanza dell’anarchia, di un comunismo autogestionario, e si percepisce la potenza assassina del sistema gerarchico, dei governi e del capitalismo. Come faceva notare Kropotkin,[4] l’economia politica “borghese”, dietro il manto di scientificità, nasconde un punto di partenza sbagliato ed ideologico: l’idea che il punto di riferimento dell’analisi e dell’azione economica sia il profitto, invece che il soddisfacimento dei bisogni delle persone. La crisi che già c’è e quello che si sta prospettando è tale solo perché si deve tenere conto delle leggi sulla proprietà privata, sul salariato e sulla necessità di fare profitto: senza di essi, senza le gerarchie sociali, in un regime anarchico di società, il problema non si porrebbe nemmeno alla lontana. Le materie, prime i macchinari, le competenze non sono sparite di certo: la società gerarchica, le regole governative e capitalistiche sono loro a renderle inutilizzabili. In mancanza di esse, li si utilizzerebbe nella maniera più razionale per soddisfare i bisogni di tutte e tutti.

Questo deve essere il nostro punto di riferimento generale nell’affrontare la crisi presente ed i suoi presumibili sviluppi: la consapevolezza che il sistema gerarchico produrrà crisi a ripetizione e, anche in condizioni normali, miseria per la maggioranza e ricchezze sempre più smisurate per sempre più pochi, che esso va superato per il bene e la sopravvivenza stessa dell’umanità.

Pertanto, in una situazione di crisi economica quale quella che stiamo vivendo e che potrebbe peggiorare vertiginosamente, da un lato occorre certo rivendicare nell’immediato processi di redistribuzione delle ricchezze prodotte collettivamente ma che il sistema gerarchico sottrae alla grande maggioranza dell’umanità, privilegiando, se i rapporti di forza lo rendono possibile, l’accesso diretto a beni e servizi piuttosto che un corrispettivo monetario; dall’altro espandere il più possibile i processi di mutuo soccorso che spontaneamente si sono venuti a creare nelle popolazioni di tutto il mondo.

I processi mutualistici, infatti, hanno numerosi vantaggi. Innanzitutto prefigurano una società senza gerarchie sociali e politiche, egualitaria ed autogestionaria, abituando le persone a quel genere di relazioni sociali le quali – oggi come oggi e non c’era certo bisogno della pandemia per saperlo – sono l’unica speranza per il futuro dell’umanità. Inoltre, abituano le persone a fidarsi solo di loro stesse, in un processo alla pari che prescinde dall’aiuto malevolo dei governi e dalla logica mercantile.

Cosa fare nel concreto, poi, dipenderà, ovviamente, dai rapporti di forza. L’importante è che ogni nostra azione tesa ad alleviare le sofferenze imposte dalla crisi capitalistiche si muova all’interno di una cornice che tenga conto dell’obiettivo generale e non gli remi contro. Anche in quest’occasione, insomma, il gradualismo rivoluzionario[5] di Errico Malatesta mantiene tutta la sua attualità.

(…) noi spingiamo i lavoratori a pretendere ed imporre tutti i miglioramenti possibili ed impossibili e non vorremmo che essi si rassegnassero a star male oggi aspettando il paradiso futuro. E se siamo contro il riformismo non è già perché siamo incuranti dei miglioramenti parziali ma perché crediamo che il riformismo è ostacolo non solo alla rivoluzione ma anche alle stesse riforme. (…) Una recrudescenza di miseria, una grande crisi industriale e commerciale, può determinare un movimento insurrezionale ed essere il punto di partenza di una trasformazione sociale, perché viene a colpire della gente che si è abituata ad un relativo benessere e che mal sopporta un peggioramento. Ché, se il movimento non avvenisse subito e si lasciasse passare il tempo necessario perché il popolo si abitui gradatamente ad un tenore inferiore di vita, la sopravvenuta miseria perderebbe il suo valore rivoluzionario e resterebbe come causa di depressione e di abbrutimento.”[6]

Queste parole pubblicate su questo stesso giornale esattamente cento anni fa, nella situazione del Biennio Rosso e della crisi seguita al primo conflitto mondiale, devono essere ancora oggi il punto di riferimento non solo nostro ma, più in generale, di chiunque non voglia che “tutto torni come prima” o, addirittura, sia peggio di prima.

Enrico Voccia

NOTE

[1] https://www.okpedia.it/moltiplicatore_del_reddito

[2] https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_recessione

[3] https://it.wikipedia.org/wiki/Grande_depressione | https://www.ilfattoquotidiano.it/2019/10/24/crollo-di-wall-street-90-anni-fa-aveva-inizio-la-grande-depressione-e-la-colpa-e-sempre-del-mercato/5528128/

[4] KROPOTKIN, Piotr, La Conquista del Pane, https://www.liberliber.it/online/autori/autori-k/petr-alekseevic-kropotkin/la-conquista-del-pane/

[5] https://www.liberliber.it/online/autori/autori-k/petr-alekseevic-kropotkin/la-conquista-del-pane/

[6] MALATESTA, Errico, “Tanto Peggio, Tanto Meglio?”, in Umanità Nova, 26 giugno 1920.

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