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Il concilio di Conte

Il concilio di Conte

Se l’economia è la religione del mondo moderno, gli Stati generali dell’economia ne sono il Concilio, per lo meno per quanto riguarda l’Italia.

Come tutti i concili, più che degli argomenti in discussione conta la liturgia, il succedersi rituale degli interventi, le inevitabili polemiche e le lamentele degli esclusi, la riconciliazione finale ad opera del presidente del consiglio, che assegnerà i vari compiti alle parti sociali.

I dieci giorni di dibattito si concluderanno senza nessuna decisione reale, visto che i compiti di indirizzo in materia economica e finanziaria spettano al Parlamento. Quali sono quindi le funzioni di questo spettacolare e dispendioso salotto organizzato da Conte? Vista la delicata situazione, economica sociale e politica in cui si trova l’Italia, sono ipotizzabili due funzioni: innanzi tutto l’esecutivo ha tutto l’interesse a prendere tempo, lasciando che la rabbia per la gestione dissennata dell’emergenza sanitaria sbollisca lentamente, magari trovando qualche capro espiatorio nelle zone più colpite, e sperando che il miglioramento delle situazione economica renda meno pressanti le richieste di reddito da parte dei ceti sociali più svantaggiati e colpiti dalla crisi economica succeduta alla pandemia, facendo così dimenticare le tante promesse fatte e che non potranno essere mantenute. L’altra funzione è quella di allineare attorno alla Confindustria e all’oligarchia finanziaria i vari settori della classe dominante e le sue espressioni politiche e sindacali.

Il discorso di Bonomi, il nuovo presidente della Confindustria, ha dimostrato la volontà degli industriali di dettare l’agenda dei prossimi mesi. La questione centrale è mettere le mani sull’enorme massa di liquidità che l’Unione Europea metterà a disposizione dell’Italia nei prossimi mesi; Confindustria si candida a gestirla in gran parte, lasciando alla pubblica amministrazione le briciole. Naturalmente nel discorso del presidente Bonomi, che proviene da quell’Assolombarda che più si è adoperata per ostacolare le misure di protezione dei lavoratori dall’epidemia, non c’è stato nessun riconoscimento di responsabilità per quanto è avvenuto in Italia in questi mesi, sull’inquinamento e la devastazione ambientale che hanno favorito il diffondersi del virus e reso precarie le condizioni di salute delle tante, troppe vittime.

Attorno a questi obiettivi la Confindustria vuole allineare le altre organizzazioni di categoria, i sindacati, i partiti e richiamare il governo alla sua funzione di protezione della proprietà privata e dell’accumulazione capitalistica.

Il quadro in cui si muovono i tanti progetti raccolti nel cosiddetto piano Colao, che sono stati fatti propri dal governo e su cui Confindustria vuole mettere le mani è molto più complesso e dominato dall’emergenza della mancanza di reddito che è una realtà per gran parte dei ceti popolari. Ha un bel richiedere, il presidente della Confindustria, la fine dell’assistenzialismo: la conseguenza inevitabile sarebbe alimentare una rivolta sociale, di cui esistono tutte le premesse.

Pochi giorni prima dell’inizio degli Stati generali, si è svolta un’altra cerimonia tradizionale, l’assemblea della Banca d’Italia con le considerazioni finali del governatore Visco. In questa occasione il governatore della Banca d’Italia ha affermato che “potrà ridursi l’occupazione e potranno protrarsi le situazioni di sospensione dal lavoro; ne saranno frenati i consumi, che risentiranno anche del possibile aumento del risparmio precauzionale dovuto ai timori sulle prospettive, non solo economiche. Potrà crescere il disagio sociale; le misure di bilancio mirano a contenerlo.” Sembra quasi una risposta in anticipo alle pretese di Confindustria, da parte di chi rappresenta il sistema nel suo complesso, e non solo le brame di chi punta all’accrescimento immediato del profitto individuale.

Delle parole di Visco può derivare anche un altro significato: le politiche di bilancio saranno accomodanti, andranno a beneficio dei ceti popolari nella misura in cui questi ultimi saranno in grado di mettere in pericolo l’ordine pubblico.

Quello che è certo è che sostegno agli investimenti e sostegno ai consumi sono politiche in conflitto, e pensare che sia possibile ottenere sostegni al reddito montando sul carro dei finanziamenti europei e del sistema creditizio è una tipica illusione riformista; il movimento di lotta sarebbe condotto in un vicolo cieco, rinunciando all’attacco diretto e di piazza al governo e alle sue politiche di sostegno alla Confindustria.

Il piano Colao, che doveva essere il piatto forte, non fa che ripetere la solita minestra riscaldata. In gran parte si tratta di “una lista infinita di interventi su ogni ambito della vita italiana [che] non indica priorità, mostra solo l’ampiezza dei problemi aperti” come dice il presidente di Confindustria Bonomi, e qui non si può non essere d’accordo col nemico di classe.

Il pezzo forte del piano è privare le vittime del Covid dalla tutela penale; un grosso regalo, oltre all’amministrazione sanitaria a tutti i livelli, a tutti i datori di lavoro e ai dirigenti aziendali, pubblici e privati. Se a questo si aggiungono gli accordi interconfederali sui protocolli sanitari, che sostituiscono la rigida applicazione di quanto disposto dall’istituto preposto alla prevenzione e alla sicurezza nei luoghi di lavoro, cioè l’INAIL, abbiamo un quadro che in pratica lascia mano libera a Confindustria a disattendere le normali pratiche di igiene faticosamente conquistate in questi mesi e a prezzo di tante vittime.

Molti sono convinti che l’intervento del governo nell’economia sia una forma di tutela delle esigenze collettive, contro la rapacità dei privati. L’esperienza storica dimostra invece, come rileva lo studioso inglese Alan Freeman, è proprio l’intervento dello Stato (o di un gruppo di stati) che permette la crescita dell’accumulazione capitalistica, che mobilita risorse dal resto del mondo in misura superiore a quella che può essere generata dai singoli processi nazionali. In questi casi l’azione dei governi combina la coercizione diretta dei paesi esteri e delle comunità locali con il sostegno del capitale nazionale, il taglio dei salari e il prolungamento dell’orario di lavoro.

Al di fuori di questi momenti eccezionali, i periodi di depressione sono estremamente lunghi, e la lunghezza della depressione seguita alla crisi del 2007 non è un’eccezione.

La crisi provocata dal coronavirus ha permesso ai governi di chiedere e ottenere quei poteri straordinari (e la legittimazione politica) per provocare un nuovo boom.

Il dibattito economico, in Italia e nel mondo, è attorno a questo tema, come abbiamo visto prima, le misure di sostegno al reddito vengono prese solo per tacitare una possibile protesta popolare.

L’intervento dello Stato quindi non è la soluzione, ma è la causa del problema. Solo l’azione diretta degli sfruttati può creare le condizioni per una vita più salubre e degna di essere vissuta.

Tiziano Antonelli

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