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Presidio contro le morti sul lavoro allo stabilimento Fiat Mirafiori

Presidio contro le morti sul lavoro allo stabilimento Fiat Mirafiori

29 Settembre 2020. Compagni e compagne della Federazione Anarchica Torinese hanno partecipato al presidio contro le morti sul lavoro davanti ai cancelli dello stabilimento Fiat Mirafiori.

Di seguito il testo del volantino distribuito ai lavoratori e alle lavoratrici durante il cambio turno:
“Il lavoro uccide
Negli ultimi anni c’è stata un’impennata dei caduti sul lavoro. Le chiamano “morti bianche” ma sono le vittime di una guerra vera, quella del lavoro. Una guerra feroce tra chi possiede i mezzi di produzione e muove le leve della finanza e chi possiede poco o niente.
I padroni, dalla grande industria alla piccola media impresa, si arricchiscono con il lavoro degli altri, elargendo, in cambio, le briciole dei profitti. È la guerra di classe, una guerra che i padroni combattono ogni giorno, ogni ora, e che anche noi dovremmo combattere con altrettanta forza.
Giovanni aveva 49 anni. Lavorava per una ditta in subappalto alla Fenice, il colosso che in FCA gestisce i sistemi termoelettrici a Mirafiori. Uno dei tanti che lavorano in condizioni sempre più dure nella rete di appalti e subappalti, che è la cifra del lavoro in questi anni. Chi sta in fondo ha meno salario, meno tutele, più precarietà e rischi degli altri.
A luglio di quest’anno i caduti sul lavoro erano 716, 19,5% in più dello scorso anno. A questi si aggiungono i tanti morti mentre si recavano in fabbrica, in ufficio, a fare una consegna. Perché un mercato del lavoro che costringe a spostamenti sempre più lunghi, ad accettare un posto anche a trenta o quaranta chilometri di distanza, fanno si che si muoia anche mentre si va o si torna dai luoghi della servitù salariata. In tempi di pandemia i tagli al trasporto pubblico espongono tutti a maggiori rischi, e sono frutto della stessa logica del profitto per cui le imprese riducono la spesa per la sicurezza.
Di lavoro si muore anche per malattie professionali, magari dopo qualche anno di pensione. Avvelenamenti cronici da sostanze tossiche, esposizioni ad agenti oncogeni, sfiancamento. O magari si è più fortunati: non si muore ma ci si porta fino alla tomba una qualche patologia più o meno debilitante.
Quest’anno gli infortuni sul lavoro nella sanità sono aumentati del 500%, perché le protezioni dall’infezione di Covid 19 erano insufficienti o inadeguate, perché il profitto conta più delle nostre vite.
Il 6 dicembre 2007 alla ThyssenKrupp di corso Regina un incendio scatenato dall’inosservanza da parte dell’azienda delle norme di sicurezza investì otto lavoratori. Sette di essi perirono, i più dopo un’agonia di settimane. Un caso eclatante, avvenuto oramai tredici anni fa. Da allora la situazione è peggiorata, nonostante le lacrime di coccodrillo di istituzioni, Confindustria e sindacati confederali. Negli ultimi dieci anni il numero di morti e feriti sul lavoro è costantemente aumentato. Da anni le condizioni di schiavitù dei braccianti allungano la lista dei lavoratori uccisi nella guerra del lavoro. Si muore tra le macchine stridenti nell’industria, si muore di fatica nei campi.
Anche le nuove “professioni” della “gig economy” uccidono: diversi rider, i fattorini che in bici o in motorino, consegnano cibo per conto di qualche grande piattaforma come Glovo o JustEat sono morti. Altri sono rimasti feriti. Lo stato delle strade, i ritmi frenetici del cottimo e l’ideologia che glorifica la performatività e l’autosfruttamento che le aziende vorrebbero che i lavoratori introiettassero, sono le cause principali. Se si somma la scarsa manutenzione dei mezzi, che sono di proprietà del singolo rider e su cui l’azienda non si assume nessuna responsabilità, e la pretesa che lavorino anche in condizioni climatiche estreme, il quadro è completo.
La precarizzazione e l’aumento della ricattabilità davanti al padrone costringono ad accettare condizioni di lavoro che fino a qualche anno fa si sarebbero respinte.
È così in tutto il mondo. Quale che sia la bandiera con cui si rappresentano i potenti, i padroni, si arricchiscono con la morte degli sfruttati. La nostra risposta, come sfruttati, lavoratori, disoccupati, precari, non potrà che essere sul piano internazionalista e di classe.
I padroni stanno combattendo una guerra che come sfruttati dobbiamo riconoscere come tale. E combatterla. I sindacati confederali e le istituzioni si limitano a qualche frase di circostanza. Non ce ne stupiamo: il loro ruolo è quello di guardiani dell’ordine costituito.
Solamente noi sfruttati possiamo prendere in mano le redini del nostro destino e, con l’azione diretta, scioperi, picchetti, blocchi, potremo liberarci e vivere una vita in cui non si muoia più in nome del profitto di qualche padrone.
Cambiare la rotta è possibile. Con l’azione diretta, costruendo spazi politici non statali, moltiplicando le esperienze di autogestione, costruendo reti sociali che sappiano inceppare la macchina e rendano efficaci gli scioperi, le lotte territoriali.
Un mondo senza sfruttati né sfruttatori, senza servi né padroni, un mondo di liberi ed eguali è possibile.

Tocca a noi costruirlo.”

Per la FAT,
L’incaricato

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