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Un disastro naturale, sociale, politico

Un disastro naturale, sociale, politico

Umanità Nova – d’ora in poi UN: Il 23 novembre del 1980 l’Italia meridionale venne sconvolta da un notevole terremoto, che produsse migliaia di morti, decine di migliaia di feriti, intere cittadine del tutto distrutte e molte altre sopravvissute ma con profonde ferite nel tessuto urbano. Dal punto di vista politico i fenomeni più rilevanti furono due, speculari: da un lato il ritardo enorme nei soccorsi e la successiva speculazione nella ricostruzione, dall’altro l’enorme slancio di solidarietà concreta ed immediata da parte delle popolazioni di tutta Italia. Uno di quelli che era presente a quegli eventi era un membro della attuale redazione di Umanità Nova che, ci ha raccontato, è testimone diretto degli eventi dei primissimi momenti della solidarietà…

Enrico della Redazione di Umanità Nova – d’ora in poi ER: Si è trattato di un evento in fondo casuale. All’epoca vivevo e studiavo nella mia città, Napoli, ed avevo conosciuto all’università una ragazza fuorisede originaria dell’Irpinia con cui avevo iniziato una storia e, la sera del 23 novembre, – ovviamente chiunque abbia vissuto il terremoto ricorda perfettamente dov’era e cosa stava facendo in quel momento – stavamo studiando insieme l’esame di Analisi I quando la scossa arrivò alle 19.34. Scesi in strada, ci riprendemmo un attimo dalla sorpresa e lei cominciò a preoccuparsi per i suoi parenti ed amici: da un lato la sua compagna di stanza che studiava geologia aveva detto più volte che la l’Irpinia era una zona sismicamente ad alto rischio, dall’altro le linee telefoniche con la sua zona d’origine erano interrotte mentre a Napoli male ma un po’ funzionavano. Di lì a non molto, con una bella dose di incoscienza dato lo stato delle strade ed il fatto che ero giovanissimo ed appena patentato, prendemmo l’auto di mia madre e partimmo per le zone irpine che temevano, purtroppo a ragione, ancor più fortemente devastate dal sisma.

UN: Di cosa foste testimoni in quei primi momenti?

ER: Appena giunti ad Avellino già ci rendemmo conto dell’entità del disastro: a Napoli i danni c’erano ma, appena usciti dall’autostrada, i danni che vedevamo erano già lì decisamente maggiori; ricordo vagamente che qualcuno ci disse che comunque i danni maggiori erano verso Sant’Angelo dei Lombardi e dintorni. Proseguimmo allora verso l’interno e, dopo aver trascorso la notte a Montella in un ricovero di fortuna, ed avendo anche lì avuto conferma delle zone maggiormente disastrate partimmo per Lioni, giungendovi a stento dato lo stato delle strade. Lì, il disastro era completo: non un edificio in piedi, duecentodieci morti ed un migliaio di feriti, la gente – giustamente sconvolta – si muoveva per quello che restava del paese come un esercito di zombie, lo sguardo perso nel vuoto. Lo stesso vedemmo a Sant’Angelo dei Lombardi, anzi con il doppio dei morti, più o meno la stessa cosa in tutti i paesi intorno. Aiuti di nessun tipo: per quel che ricordo ero stato – con le poche scatolette di antibiotici che avevo trafugato dal mobiletto delle medicine di casa e le mie due braccia a dare di tanto in tanto una mano a chi tentava uno scavo – il primo “soccorritore” esterno e, la sera, erano già passate 24 ore. Poi, pian piano, cominciarono ad arrivare altre persone, soprattutto fuorisede e militanti politici e, all’inizio, furono questi i soli soccorsi.

UN: Ecco, la questione dei ritardi…

ER: Posso confermarne in prima persona tutta la gravità. Quando leggo nelle cronache ufficiali che dopo cinque giorni i soccorsi erano giunti in ognuno dei luoghi colpiti so cosa si intende: che almeno una camionetta dei carabinieri era passata, come io con la mia Renault 5, a vedere cosa era successo. Rileggendo i vecchi numeri di Umanità Nova ho trovato una cosa che devo aver raccontato io: a Lioni, mi pare la sera di due giorni dopo, si erano presentate due vecchie “giardiniere” dei carabinieri, quelle che avevano sul retro una pala ed un piccone. Quando tentammo di prenderle per aiutarci nei lavori di scavo scoprimmo che erano saldate invece che imbullonate ed i militari non riuscirono a darci nemmeno quelle. Comunque tornarono indietro promettendo che avrebbero dato immediatamente l’allarme sull’entità di una situazione che, dissero, non immaginavano affatto e, in effetti, un po’ di tempo dopo cominciarono a vedersi soccorsi degni di questo nome ma, nel frattempo, molte vite che avrebbero potuto essere salvate con un intervento tempestivo erano andate perdute.

UN: Restasti in zona i giorni successivi?

ER: No, non feci parte delle Brigate di Solidarietà – oggi le chiameremmo così – che cominciarono a presentarsi molto presto nelle zone: tornai di tanto in tanto – una volta con mio padre che, ricordo, volle anche lui dare una mano – a portare materiali per il soccorso alle popolazioni ma sostanzialmente mi concentrai sulla mia città.

UN: Cosa accadde a Napoli?

Il problema non erano tanto i morti ed i feriti – relativamente pochi se si confrontavano con quelli dell’epicentro del terremoto – ma il numero enorme di senzatetto. Erano perciò iniziate tutta una serie di occupazioni, soprattutto nel quartiere periferico di Secondigliano dove erano state costruite ma non ultimate le famose “vele” ed i compagni, tra cui io, si concentrarono soprattutto nel supporto agli sfollati e nell’organizzare la loro, che talvolta era anche la nostra, vita in quelle condizioni. La presenza del movimento nelle occupazioni era all’inizio molto forte; poi vi fu un’alleanza “inconfessabile” tra il potere politico e la camorra, cui venne di fatto data mano libera per rompere questo rapporto del movimento con le popolazioni. Non a caso, gli anni ottanta saranno quelli in cui la criminalità organizzata raggiungerà i livelli più alti di controllo sul territorio. Fu un vero peccato, sia per il feroce dominio camorristico sulla vita della città, sia perché quell’esperienza aveva ancor più saldato il rapporto tra la popolazione ed il movimento nel suo complesso, che era già forte prima grazie soprattutto all’esperienza dei disoccupati organizzati.

UN: Citavi prima di sfuggita Umanità Nova di quegli anni…

ER: Andandomi a rileggere le pagine di quegli anni, mi è tornato alla mente come il settimanale svolgesse un ruolo importante nel comunicare analisi della situazione ma, soprattutto, nel dare voce alle iniziative di solidarietà in cui erano maggiormente presenti le istanze libertarie. Purtroppo, era un momento in cui gravi difficoltà economiche avevano costretto a ridurre il numero di pagine per cui le notizie e le analisi erano di necessità molto sintetiche ma, ciononostante, per noi era un punto di riferimento importante. Anche il resto della stampa anarchica dell’epoca – A Rivista Anarchica, Autogestione, ecc. – dedicarono molte delle loro pagine agli eventi ma Umanità Nova aveva una cadenza settimanale e riuscì a seguire gli eventi con maggiore puntualità.

UN: A differenza di Enrico, Franco della Federazione Anarchica di Milano – F.A.I., fu presente nei processi di solidarietà diretti sul territorio. Franco, ci racconti un po’ la tua esperienza che sappiamo essere anch’essa molto interessante?

Franco della F.A.M. – d’ora in poi FF: Se ripenso a quei giorni del terremoto in Irpinia le cose che subito vengono in mente sono le seguenti: la grande, commovente solidarietà di tutto il mondo del lavoro a livello nazionale; il contributo enorme dei volontari e quello dei Vigili del Fuoco; l’inerzia dei militari inviati sul luogo del disastro.

A quel tempo lavoravo a Milano (alla Citroen) e come delegati sindacali nel Consiglio d’Azienda ci attiviamo immediatamente per raccogliere denaro tra i lavoratori, acquistare ogni genere di prodotti (coperte, scarponi, mantelli, stivali di gomma, indumenti vari, giubbotti pesanti, tende, sacchi a pelo e tanto, tanto altro materiale utile per quei luoghi). Una attività frenetica ed in pochissimo tempo sono raccolti circa 15 milioni di vecchie lire che si raddoppiano nel momento in cui andiamo a chiedere anche alla Direzione aziendale un proprio obolo.

Tutto il denaro viene speso, grazie all’interessamento e ai contatti coi fornitori di numerosi lavoratori, per l’acquisto del materiale che noi stessi avremmo distribuito in Irpinia anche perché era chiaro in noi tutti, assieme ai lavoratori riuniti in assemblea, che nemmeno una lira doveva andare a finire nei vari conti correnti aperti da Stato ed enti pubblici. Non ci fidavamo, viste le precedenti esperienze e relativi scandali.

Intanto prendiamo contatto con l’organizzazione dei Consigli di Fabbrica e d’Azienda per partire con loro. Quando tutto è pronto facciamo parte anche noi di una lunga colonna di auto, furgoni e tir, con operai e impiegati nei vari settori (delegati sindacali, lavoratori e lavoratrici della Siemens, Alfa Romeo, IBM, Farmitalia…) che si snoda lungo l’autostrada Milano-Bologna-Ancona-Foggia e da lì taglia verso Avellino. Luogo d’arrivo sarà Calabritto, uno dei paesi tra i più disastrati dal terremoto: daremo il cambio al primo contingente di volontari partiti la settimana precedente.

L’arrivo a Calabritto è impressionante. Il vecchio paese che si arrampica sul dorso di una collina è completamente distrutto, le case crollate una sull’altra, numerosi volontari e vigili del fuoco con le pale a cercare sotto le macerie per estrarre i corpi, una montagna di bare pronte, un continuo tremolio della terra. In più durante la notte la pioggia ha spazzato via tutte le tende dei volontari: è il primo lavoro da fare!

UN: Come fù il rapporto con le istituzioni?

Al nostro gruppo (sei persone a cui si era unito un giovane studente anarchico) viene dato l’incarico di trovare un luogo piano (ce n’erano ben pochi, lì in montagna) per la collocazione di 80 roulottes in arrivo da Torino. Per prima cosa occorreva risolvere il problema del fango. Tanto fango! L’idea ce la inventiamo lì per lì: in fondo valle, lungo il fiume, avevamo notato una ruspa; con quella si potevano raccogliere i sassi e portarli col camion a Calabritto per formare un piano utile alla collocazione delle roulottes. Si va dal sindaco e dai carabinieri. Fanno storie, non ci sono camion per il trasporto, non c’è il carburante. Dicono!

La rabbia era tanta ma la determinazione anche: “O fate quello che vi diciamo o vi riterremo responsabili di non collaborazione! Entro sera i sassi devono arrivare e deve essere tutto pronto!” Alla fine arrivano diverse camionate di sassi e si risolve il problema del piano d’appoggio: le 80 roulotte vengono prese di peso e collocate una di fianco all’altra, finalmente. Qui nasce un ulteriore problema: il sindaco (naturalmente democristiano) inizia a dare le chiavi ma subito alcuni abitanti ci informano che l’elenco fatto comprende ai primi posti i familiari e gli amici del sindaco. Blocchiamo immediatamente la distribuzione delle chiavi: hanno diritto alla roulotte prima gli anziani e le famiglie con bambini!

Nel corso della settimana il nostro gruppo si divide in due: una parte resta in paese a lavorare di pala assieme a tanti altri volontari. L’altro gruppo, con il furgone pieno di indumenti che abbiamo portato da Milano, si incammina lungo strade sconosciute raggiungendo numerose case isolate i cui abitanti non avevano fino a quel momento visto nessuno e nessun soccorso era arrivato loro (ed erano passati 10 giorni dal terremoto). La distribuzione continua nei giorni seguenti raggiungendo sempre casolari isolati in mezzo alla neve. Non senza pericoli, perché la neve ha coperto anche i crepacci lungo le strade provocati dal terremoto.

Siamo ogni tanto in faticoso contatto con i nostri compagni lavoratori e lavoratrici della Citroen rendendoli edotti del nostro operato quotidiano. Ci contatta anche Radio Popolare per una intervista, era giunta anche ai redattori della radio – non so come – la storia dei carabinieri e della ruspa ed anche la storia di un corteo che ha invaso la tenda dei carabinieri liberando un volontario che era stato arrestato in seguito ad un litigio con l’arma. Anche se eravamo isolati dal resto del mondo venivamo comunque a conoscenza di ciò che succedeva negli altri paesi terremotati, le difficoltà e le pene patite dalla popolazione.

Sicuramente è stata una settimana intensa, indelebile nella memoria, dove quel concetto di solidarietà tanto caro a noi anarchici si è materializzato. Mai lo scorderemo.

Intervista redazionale

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