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Lupi, peli e vizi

Lupi, peli e vizi

La politica, intesa come gestione del potere e delle sue articolazioni, si muove sempre in una dimensione del tutto estranea al buon senso. Questa considerazione, che per gli anarchici può avere la stessa importanza della scoperta dell’acqua calda, è dedicata a chi, invece, anarchico non è, e magari si ostina – in tutta buona fede – a sperare nella potenziale bontà delle istituzioni e di chi le dirige, a ogni livello.
Per rendersene conto, è sufficiente osservare il modo in cui le istituzioni europee intendono mettere mano al fenomeno delle recenti massicce migrazioni. Per anni abbiamo lottato contro i centri di trattenimento per immigrati. Lo abbiamo fatto in Italia così come in tutta Europa. I nomi di queste strutture cambiavano, ma la sostanza era sempre la stessa. Che si chiamassero centri di permanenza temporanea o centri d’identificazione ed espulsione, servivano per imprigionare gli immigrati privi (o privati) del permesso di soggiorno. A monte, una legislazione cervellotica e volutamente discriminatoria che ha rovinato (e continua a rovinare) l’esistenza a migliaia di persone impedendogli di muoversi, lavorare, vivere. Non molto diversa la condizione dei rifugiati e dei richiedenti asilo, per i cui diritti non è mai stata fatta una legge organica nel nostro paese.

I centri di detenzione non sono mai stati aboliti ma, negli ultimi anni, avevano subito un notevole ridimensionamento. Oggi, con la cosiddetta “emergenza immigrazione” (ma un fenomeno così duraturo e e conosciuto non può di certo essere considerato un’emergenza), l’Unione europea continua a ragionare in termini di quote per distribuire le persone, come fossero pacchi, tra paesi europei più o meno disposti (o riluttanti) ad avere a che fare con la disperazione che bussa alle loro porte.

Ma la trovata più incredibile del piano Junker, con cui si vorrebbe affrontare il problema, consiste nell’istituzione degli hotspot, centri per l’identificazione e il fotosegnalamento dei migranti nei paesi di primo approdo.
L’idea è quella di creare o trovare strutture in cui fare una cernita, in tempi brevissimi (teoricamente entro 72 ore), per distinguere i migranti economici dai potenziali rifugiati e richiedenti asilo. Per i primi scatterebbe il rimpatrio, previa detenzione – tanto per gradire; per i secondi si aprirebbero le lunghe ed estenuanti procedure per il riconoscimento del loro status.

In quelli che si configurerebbero come dei nuovi campi di concentramento riveduti e corretti dove ammassare le persone per prendergli le impronte digitali e decidere del loro futuro, si troverebbero a operare – fianco a fianco – agenti delle forze dell’ordine dei singoli paesi e rappresentanti delle agenzie europee per il diritto di asilo (Easo), per il controllo delle frontiere (Frontex), di cooperazione di polizia (Europol) e giudiziaria (Eurojust).
Per identificare chi ha diritto alla protezione e chi no, Francia e Germania chiedono di stabilire una lista di “paesi sicuri”. Secondo questo geniale parametro, un migrante proveniente da un “paese sicuro” non avrebbe alcun diritto all’accoglienza tra i confini europei, e verrebbe quindi automaticamente espulso. Si profilerebbe così una nuova aberrazione giuridica in contrasto con la convenzione di Ginevra, che – al contrario – prevede una valutazione sulla situazione personale di ciascun migrante: chiunque, infatti, può essere vittima di persecuzione e, dunque, meritevole di protezione.

Né bisogna dimenticare l’assurdità del trattato di Dublino, che prescrive di inoltrare necessariamente la domanda di asilo nel primo paese europeo in cui si mette piede, con l’obbligo di restare finché non si riceva una risposta.
Dunque, il buon senso suggerirebbe l’apertura di canali umanitari per consentire alle persone di spostarsi in sicurezza, senza affrontare viaggi estremi, senza affidarsi a mafie e trafficanti, senza strisciare sotto fili spinati eretti da governi razzisti, senza essere manganellati o gassati alle frontiere, senza crepare nelle stive di un barcone, senza rannicchiarsi nel portabagagli di un’auto, senza morire asfissiati dentro a un tir, senza subire lo scherno di sbirri infami, senza aspettare mesi per un pezzo di carta in un paese in cui non si vorrebbe nemmeno rimanere. Molte altre cose suggerirebbe il buon senso, se si volesse dare una necessaria razionalità a un mondo che, invece, girando al contrario rispetto a ciò che davvero giusto e umano potrebbe essere, stritola nei suoi ingranaggi le persone più vulnerabili o più sfortunate.

Ma, come detto, il buon senso non lo si può trovare tra i grigi burocrati di Bruxelles, di Berlino, o di Roma, per i quali valgono solo le regole spietate e brutali dello sfruttamento e della sopraffazione.

TAZ laboratorio di comunicazione libertaria

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