Search

Una dichiarazione di guerra ai poveri

Una dichiarazione di guerra ai poveri

Intendiamoci, non è che il governo precedente fosse un gruppo di filantropi, dediti al bene comune e particolarmente attento alle necessità delle classi lavoratrici: al peggio, però, non c’è mai fine. La sostituzione di esso con questo nuovo, infatti, ci ha fatto venire in mente la classica scena cinematografica dello schiavista torturatore che viene sostituito nel suo compito da uno ancora più bastardo perché il primo non frustava troppo forte i malcapitati. Allora ecco a scendere in campo quel Mario Draghi che nel 2011 intimava a Berlusconi di effettuare politiche di durissima austerità e molti tagli (come se finora quel governo ci avesse fatto solo carezze…), provocandone la sostituzione con il tecnocrate “austero” Mario Monti.

In questi mesi c’è stato chi si è illuso che, di fronte alla grave situazione creata dalla pandemia, i governi di tutto il mondo e l’Unione europea in particolare avessero iniziato a fare marcia indietro rispetto alla ferocia delle politiche liberiste di macelleria sociale di cui, fino a poco prima, erano stati convinti protagonisti. Qualcuno insomma ha creduto che, data la situazione, almeno un po’ di blando keynesismo a favore della maggioranza delle popolazioni ridotte allo stremo dalla pandemia ci sarebbe stato – tanto più che la situazione negativa si verificava dopo che aveva piovuto sul bagnato delle decennali politiche di macelleria sociale ed assistenziali verso i ricchi, cosa che la rendeva ancora più grave.

In effetti, il governo Conte 2 qualche illusione in merito l’aveva data: resisteva alla eliminazione del Reddito di Cittadinanza, spingeva sempre più in avanti la fine della Cassa Integrazione Guadagni obbligatoria e, di fronte alle rivolte di piazza, aveva concesso e continuava a concedere i famosi “ristori” ai titolari di piccole attività. Niente di trascendentale ovviamente, non erano certo i processi di redistribuzione di ricchezza tipici delle autentiche politiche keynesiane; molto più banalmente erano minimi interventi volti a mediare con le parti sociali maggiormente colpite dalla situazione, cercando di impedire che queste fossero ridotte alla fame vera e propria e disinnescare potenziali conflitti di vasta portata. Evidentemente, però, anche questo pochissimo era più che troppo per il grande capitale ed un quadro politico caratterizzato da forme di vero e proprio sadismo sociale le quali, alla fine, hanno ripreso ad essere l’ordinario nel momento straordinario. Magari proprio avendo l’impressione che i processi di mediazione sociale del governo Conte 2 avessero funzionato e la piazza si fosse pacificata.

Lo ripetiamo ancora: il Conte 2 non era un governo di brave persone volte al bene comune ma, alla fine ha pagato il prezzo delle sue indecisioni, dei suoi minimali tentativi di mediazione con i bisogni della maggioranza della popolazione. Si trattava di un “keynesismo” più o meno come per Berlusconi il PD era (forse lo è ancora) un accozzaglia di selvaggi comunisti, ma questo è bastato. L’ideologia liberista, infatti, non vede grandi differenze tra una qualche politica di stato sociale e il “comunismo”: anche se nel primo caso il capitalismo resta in piedi – anzi da certi punti di vista si rafforza – la diminuzione delle distanze sociali in termini di reddito e la creazione di un numeroso ceto medio benestante tutto ciò è nondimeno per il sadismo sociale liberista un vero incubo. È bastato, insomma, il semplice e lontano profumo di una qualche azione un po’ diversa da un puro e semplice affamare le masse, proletarizzare il ceto medio e assistere tramite le prebende statali i ricchi per far scattare la rabbia ed invocare l’“uomo forte” e, soprattutto, fidato.

La cosa è stata subito evidente con la scelta dei ministri del nuovo governo, in modo particolare gli “uomini del Presidente” come Colao, Giovannini, Bianchi e Franco. Il primo dirigente d’azienda italiano, dal 2008 al 2018 amministratore delegato di Vodafone, è stato nominato ministro per l’innovazione tecnologica e la transizione digitale Il secondo, economista e statistico, Chief Statistician dell’OCSE dal 2001 all’agosto 2009, presidente dell’ISTAT dall’agosto 2009 all’aprile 2013, co-fondatore e Portavoce dell’Alleanza Italiana per lo Sviluppo Sostenibile, presidente dell’European Statistical Governance Advisory Board, membro del Comitato esecutivo del Club di Roma, del Global Happiness Council e membro di numerosi board di fondazioni e di organizzazioni nazionali e internazionali è stato nominato ministro delle infrastrutture e dei trasporti. Il terzo, economista, ha operato presso la Price Commission britannica, è direttore scientifico dell’Ifab (Fondazione Internazionale Big Data e Intelligenza Artificiale per lo Sviluppo Umano), vicepresidente della Commissione intermediterranea (Cim) della Conferenza delle Regioni periferiche e marittime, nel 1997 è stato nominato nel consiglio di amministrazione dell’Iri; dall’inizio del 1999 all’inizio del 2000 è stato presidente di Sviluppo Italia (poi Invitalia) è stato nominato ministro dell’istruzione. Il quarto, basti dire che è direttore generale della Banca d’Italia, è stato nominato ministro dell’economia e delle finanze.

Insomma uomini fidati, dal punto di vista delle politiche liberiste. Il resto dei ministri (Federico D’Incà, Renato Brunetta, Mariastella Gelmini, Maria Rosaria Carfagna, Fabiana Dadone, Elena Bonetti, Erika Stefani, Massimo Garavaglia, Luigi Di Maio, Luciana Lamorgese, Marta Cartabia, Lorenzo Guerini, Giancarlo Giorgetti, Stefano Patuanelli, Roberto Cingolani, Andrea Orlando, Maria Cristina Messa, Dario Franceschini, Roberto Speranza) poi, è di provata fede liberista o, comunque, yesman/yeswoman nei confronti delle politiche sangue sudore e lacrime, in cambio dell’acquiescenza alle quali – ammesso e non concesso avessero qualche remora – avranno qualche spicciolo per foraggiare le consorterie, circuiti affaristici, lobbies di riferimento.

Quello che si presenta, pertanto, è un governo completamente epurato da tutte quelle forze anche solo un minimo scettiche nei confronti delle politiche di macelleria sociale liberista per le classi lavoratrici e verso le politiche di puro assistenzialismo dei ricchi. Anche la maggioranza bulgara che si è venuta a creare favorirà certamente l’immediata messa a tacere di qualsivoglia scrupolo – non vedremo, crediamo, nemmeno le lacrime di coccodrillo di Fornero o Bellanova. Per quanto poi riguarda l’opposizione del Re di Fratelli d’Italia, è indicativo il fatto che l’ineffabile Giorgia Meloni si sia affrettata a dire che voterà senza problemi ogni proposta di legge governativa “a favore degli italiani” – in pratica, data la posizione di liberismo “trumpiano” di questo partito, tutto ciò che per Draghi conta davvero.

Un simile governo ed una simile maggioranza, dicevamo, si presenta sulla scena con tutta l’intenzione di tutelare gli interessi della grande borghesia nazionale, non certo quelli dei lavoratori e nemmeno quelli della piccola borghesia dei “ristori”. Gli interessi di una grande borghesia nazionale che si confonde con gli interessi della grande borghesia internazionale: tra l’altro il curriculum appena riportato dei ministri chiave e non solo il loro mostra i loro legami nelle istituzioni economiche internazionali.

Il caso greco di pochi anni fa è emblematico: si dice che la “cura” economica imposta dalla Banca Centrale Europea ha funzionato, dimenticandosi però di dire che, a parte le condizioni di vita della gran parte della società, oggi rimane ben poco di “greco” nell’economia di quel paese, letteralmente depredato dal capitalismo internazionale. Certo a noi interessano molto di più – per non dire esclusivamente – le condizioni di vita dei lavoratori greci piuttosto che l’appartenenza nazionale, estera o multinazionale dei loro padroni; il caso greco mostra però come spesso l’interesse delle borghesie nazionali si intrecci con quello del capitalismo internazionale ed accetti di buon grado la trasformazione degli assetti proprietari, purché lei abbia la sua fetta di bottino. Questo, poi, anche con governi “sovranisti” di destra o di “sinistra”.

In pratica, questo governo e la sua maggioranza è una dichiarazione di guerra alla stragrande maggioranza della popolazione. La pandemia non sembra essere per loro un problema quanto invece un’opportunità: la metafora della guerra utilizzata fin dall’inizio per descriverla può avere perciò un altro senso – come sempre fa con la guerra in senso stretto, il potere la utilizzerà, anzi, già lo sta facendo, per imporre alla totalità del corpo sociale processi di ristrutturazione altrimenti più difficili da mettere in atto. Si pensi solo allo smart working.

Quanto si vorrà spingere avanti concretamente questa guerra, lo scopriremo a breve: è in cantiere, messo in atto dal precedente governo, un “Decreto Ristori 5”: probabilmente verrà comunque fatto data l’aspettativa che si è creata in esso, specie dopo che il ministro Speranza ha chiuso l’attività sciistica a poche ore dalla sua riapertura; si dovrà però vedere in che termini. Il vero gioco però si scoprirà con l’approvazione delle modalità concrete d’uso dei fondi europei che, facciamo una scommessa, si preannuncia come una gigantesca operazione di assistenzialismo per ricchi, come quelle cui siamo abituati da decenni, dove ben poche risorse verranno destinate al resto della popolazione.

Ripetiamo ancora: non è che il governo precedente avesse intenzioni benefiche ma, almeno, non sembrava disposto ad usare, almeno in questa situazione, l’intero armamentario delle politiche di macelleria sociale liberista: questo invece, già con la semplice lista dei suoi ministri ed anche il semplice accenno alla possibilità di eliminare Casse Integrazioni, Redditi di Cittadinanza e Ristori, sembra disposto alla guerra totale. Insomma, mentre il precedente governo sembrava in qualche modo temere l’esplosione del conflitto sociale e cercava in qualche modo di contenerlo, questo invece sembra non temerlo affatto – per cui è evidente che, se davvero estrae la spada dal fodero su cui ha messo in modo plateale la mano, si prepara ad affrontarla con la pura repressione.

Politiche da “stato gendarme”, in un simile scenario, non sono da sottovalutare. Il potere politico ed economico pensa, ovviamente, anche al profitto ma soprattutto al controllo sociale – senza il quale il primo non si forma o si forma in misura minore dal desiderato. Detto in altre parole, la sudditanza politica è precondizione del profitto e questo è stato un altro dei difetti delle politiche di stato sociale: popolazioni meno costrette dal bisogno e dalla paura della disoccupazione si ribellano con maggiore facilità. Insomma, se lo ritengono opportuno, le classi dominanti non si fermano davanti alla repressione vera e propria delle istanze popolari, quella metaforica estrazione di spada di cui parlavano prima.

La spada, appunto. Un proverbio delle arti marziali nipponiche recita: “Se non sei disposto ad estrarre la spada dal fodero, non mettere la mano sull’elsa”: ora, cosa davvero farà questo governo, dopo che ha minacciato la popolazione, dipende da come questa reagirà. Non dimentichiamoci che anche quei quattro spiccioli che ha elargito il precedente governo, lo ha comunque fatto sotto la pressione della piazza: la Cassa Integrazione Guadagni obbligatoria dopo una situazione di notevole conflittualità sui posti di lavoro nella primavera ed i “ristori” dopo le rivolte di piazza dell’ottobre scorso.

Insomma, la strada è segnata ed è un bivio: o l’accettazione, magari con qualche mugugno, delle politiche liberiste del nuovo governo o la rivolta di massa contro di esse ed insieme la costruzione di reti di mutuo soccorso autogestite per tamponare i danni che pandemia ultima arrivata, governi e capitale stanno procurando alla società da quando esistono. Noi tifiamo per questa seconda ipotesi e speriamo anche che, in essa, si possano covare i germi di una società davvero egualitaria, che si realizzi definitivamente il vero incubo dei sadici sociali.

Gruppo Anarchico “Francesco Mastrogiovanni” – F.A.I. Napoli

Articoli correlati