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CAPORALATO E CONTADINISMO

CAPORALATO E CONTADINISMO

Esiste,‭ ‬nei fatti narrati dalle cronache,‭ ‬una contraddizione inespressa.‭ ‬È un fatto che siano morti alcuni braccianti agricoli,‭ ‬stroncati e dalla fatica di un lavoro sotto un caldo infernale e dalla presenza,‭ ‬nei campi e sulle colture,‭ ‬di pesticidi e prodotti chimici di vario genere.‭ ‬L’aspetto che ha inorridito e indignato l’opinione pubblica,‭ ‬risiede nei metodi impiegati per reclutare la manodopera:‭ ‬il caporalato.‭ ‬Si è scatenato il solito teatrino delle polemiche per l’esistenza del caporalato che molti credevano scomparso da decenni,‭ ‬ma si dimentica che se c’è un sistema di caporali c’è anche un certo numero di proprietari terrieri che si servono di questo strumento per trovare e controllare il lavoro bracciantile,‭ ‬rigorosamente in nero.‭ ‬Questa è la prima contraddizione che emerge ad un primo sguardo,‭ ‬lievemente più attento,‭ ‬alle colonne dei quotidiani e ai servizi del TG.‭ ‬Un’altra contraddizione risiede nel fatto che,‭ ‬sono anni che molti braccianti muoiono nei campi e nelle serre,‭ ‬solo che hanno la sfortuna di essere migranti.‭ ‬Quello che poi è più arduo da identificare,‭ ‬per il comune lettore e ascoltatore dei notiziari,‭ ‬risiede nel fatto che quanti si servono del lavoro nero nell’agricoltura,‭ ‬sono quasi sempre agricoltori che producono per la grande distribuzione,‭ ‬che è notoriamente una filiera complessa,‭ ‬governata dalla logica del minor prezzo,‭ ‬quindi per soddisfare le richieste di grandi quantità a prezzi bassi si ricorre allo sfruttamento sistematico dei braccianti,‭ ‬pagati qualche decina di euro al giorno.‭ ‬Ed è difficile digerire il fatto che la verdura acquistata al supermarket‭ ‬probabilmente è passata per le mani di quei morti che ora indignano e scuotono la morale comune.‭ ‬L’alternativa in cosa può cogliersi o in quali processi può originarsi‭? ‬Non è una risposta semplice da fornire,‭ ‬ma va analizzato lo status quo,‭ ‬rappresentato da un modello socio-economico che si impone come l’unico possibile e che non ammette altre narrazioni che non siano compatibili con esso.‭ ‬Ma è altrettanto difficile distinguere cosa sia compatibile con cosa non lo è,‭ ‬se non si analizza in maniera organica il fenomeno.‭ ‬Gli abbagli in questo discorso sono innumerevoli,‭ ‬in quanto se grande e globale è il male piccolo e locale diviene automaticamente il bene,‭ ‬il che è tremendamente fuorviante.‭ ‬Non è una semplice questione di scala,‭ ‬ma è una questione di rapporti all’interno della produzione,‭ ‬ma anche il fine stesso del produrre è un indice di compatibilità o meno con il modello esistente.‭ ‬Produrre poco a prezzi elevati rischia di aprire una nicchia nel flusso del mercato,‭ ‬collocando talune pratiche ritenute‭ “‬alternative‭” ‬all’interno di percorsi compatibili con le eccellenze di mercato,‭ ‬divenendo prodotti agricoli di lusso.‭ ‬Magari non viene sfruttata manodopera in nero,‭ ‬magari non si inquina,‭ ‬ma non si mette in discussione il meccanismo del mercato e in nome di una rivoluzionaria genuinità fuori mercato,‭ ‬si finisce col vendere i prodotti agli unici soggetti che hanno risorse a sufficienza per comprarli.‭ ‬Si finisce,‭ ‬in pratica,‭ ‬per produrre per una élite.

Quindi talune pratiche di ricerca di una alternativa alla produzione intensiva,‭ ‬finiscono per produrre delle enclave di produzione ad alto valore,‭ ‬che se da un lato risolve la questione del reddito dall’altra non risolve il problema della produzione agricola a basso impatto i cui prodotti sono disponibili al più grande numero possibile di persone.‭ ‬Ma al di là del prodotto e delle procedure in sé o delle libere iniziative di piccoli proprietari terrieri,‭ ‬quello che meriterebbe più attenzione sono i nascenti processi di contadinizzazione collettiva.‭ ‬Se da un lato vi sono esperienze e realtà che riescono a coniugare la produzione agricola con l’etica del lavoro e del giusto compenso,‭ ‬dall’altra assistiamo ad una serie di tentativi atti solamente a generare reddito,‭ ‬mascherando però il tutto,‭ ‬dietro un’aurea di genuinità del prodotto,‭ ‬di recupero delle tradizioni o di eco-compatibilità,‭ ‬che però finiscono in quel percorso di nicchia cui si accennava prima.‭ ‬Fin qui sembrerebbe un discorso che condanna a prescindere chiunque decida di guadagnare dalla terra quel che gli serve per vivere,‭ ‬in realtà l’elemento di disturbo risiede nel fatto di ammantare queste esperienze con velleità ideologiche,‭ ‬spacciandole per pratiche antagoniste a tratti rivoluzionarie.‭ ‬Se da un lato,‭ ‬innescare delle pratiche di riappropriazione della creazione di reddito,‭ ‬potrebbe concretizzarsi come‭ “‬decostruzione in atto‭” ‬dell’ideologia dominante,‭ ‬dall’altro,‭ ‬se si tiene in considerazione la sola istanza del reddito,‭ ‬e il resto è solo fumo,‭ ‬si finisce col ricadere sempre all’interno di quel modello che si tenta di criticare.

Senza un chiaro orizzonte,‭ ‬che non sia l’impellenza reddituale e l’organizzazione attraverso la quale abbattere i costi,‭ ‬si rimane intrappolati nel meccanismo del mercato.‭ ‬Senza una chiarezza di percorso che serva a strutturare un immaginario altro,‭ ‬nel quale si traccino i contorni di una autentica incompatibilità,‭ ‬quindi dotandosi anche di strumenti di lettura della contraddittorietà della fase storica,‭ ‬è assai improbabile andare oltre un sistema sparso di‭ “‬resistenze‭” ‬agli urti del mercato globale.

L’ipotesi di decostruzione dell’impianto sociale‭ (‬inteso nello strutturarsi dei rapporti di produzione‭) ‬su cui si basa il modello di crescita economica,‭ ‬è improponibile se non si mette in discussione non tanto il modello in sé,‭ ‬ma il fatto che sia l’unico possibile e l’unico ammissibile.‭ ‬L’unico modo per operare in alterità con un modello è produrne uno diverso,‭ ‬praticarne uno strutturalmente dissonante.‭ ‬In questo le pratiche assurgono a strumento essenziale per la produzione di un immaginario che esca dalla costrizione della narrazione liberista.‭ ‬Ma in questo sta anche il rischio,‭ ‬poiché una azione pratica destrutturata,‭ ‬che non sia un esempio di incompatibilità,‭ ‬ma che pur ponendosi come alternativa continua ad obbedire alle stesse logiche di ciò che pretende di criticare,‭ ‬rimane una vuota enunciazione di un principio inconsistente.‭ ‬Quindi data questa valutazione,‭ ‬quante delle esperienze spontanee di riappropriazione dei mezzi di produzione riescono ad uscire da questo impasse‭? ‬Può quindi un certo spontaneismo,‭ ‬essere un punto di partenza per organizzare un percorso organico,‭ ‬il quale riesca a dirottare le aspettative di migliaia di disoccupati e precari‭? ‬Oppure questo può rappresentare un punto morto da quale uscire attraverso un azzeramento,‭ ‬un ricostruire processi che dettino tempi autonomi rispetto al metronomo dell’economia o delle agende politiche dei governi‭?

Per dare consistenza alla questione è il caso di entrare nel vivo del meccanismo che andrebbe inceppato,‭ ‬cercando di analizzare l’essenza del reddito,‭ ‬o meglio a cosa serve realmente. Attualmente serve ad accedere ad una serie quasi infinita di beni,‭ (‬infinita è la serie non la quantità che se ne può acquistare ovviamente‭) ‬la quasi totalità non serve a garantire una buona qualità della vita.‭ ‬Concentriamoci sui beni e servizi primari,‭ ‬il cibo il vestiario l’abitare,‭ ‬la sanità eccetera.‭ ‬Orbene‭; ‬se per accedere ai beni di consumo è oltremodo necessario avere una redditualità diretta,‭ ‬per tutto il resto basterebbe una‭ “‬redditualità indiretta‭” ‬ossia se il mio scopo è avere cibo,‭ ‬abiti,‭ ‬una casa e dei servizi di assistenza,‭ ‬è facile intuire come la riappropriazione dei mezzi di produzione da un lato e la costruzione di percorsi di condivisione e mutualismo,‭ ‬possano sopperire alle esigenze primarie quasi senza la necessità di alti livelli di reddito.‭ ‬Un esempio banale è avere cibo in cambio di prestazioni lavorative di piccola entità,‭ ‬potrebbe rappresentare il primo grado di incompatibilità,‭ ‬la costituzione di ambulatori sociali e strutturare una didattica autonoma di alfabetizzazione,‭ ‬potrebbero essere altri punti di incompatibilità.‭ ‬Leggere quindi la redditualità indiretta come obiettivo e contemporaneamente come azione decostruttiva del significato di reddito,‭ ‬significato che ci vien imposto nella sua unica accezione di disponibilità di denaro da spendere all’interno di un ciclo produttivo che deve aumentare ad ogni passaggio successivo.

Strutturare dei tessuti sociali nei quali si invertono le priorità e si disinnescano i meccanismi delle‭ ‬necessità accessorie e indotte.‭ ‬Lungi dal postulare la creazione di comunità chiuse o altri meccanismi di estrema difesa e auto ghettizzazione,‭ ‬quel che qui si propone è di partire con alcune operazioni di ricomposizione dei tessuti sociali,‭ ‬urbani e non,‭ ‬attraverso pratiche e percorsi che nel dare risposte alle esigenze basilari della collettività‭ (‬e degli individui che la compongono‭) ‬quali alloggio,‭ ‬lavoro e socializzazione,‭ ‬ottengano risultati nella sistematica demolizione degli spazi di isolamento tra gli individui.‭

Ridefinire quindi il significato di reddito,‭ ‬lascia aperto un cambiamento nel concetto di denaro,‭ ‬e della sua funzione,‭ ‬recuperare su un piano politica anche il concetto di baratto,‭ ‬esautorandolo dalla visione di momento ludico occasionale o come opportunità di liberarsi di cose inutili.‭ ‬Il baratto come mutuo scambio,‭ ‬come azione atta ad aprire alla possibilità che le proprie capacità possano generare beni e servizi collettivi senza la necessità impellente di un terzo medio che quantifica il tutto.

Queste visioni ovviamente non hanno,‭ ‬da sole,‭ ‬la forza di estromettere il denaro se non‭ “‬per gioco‭” ‬è ovvio che un ambulatorio sociale dovrà acquistare farmaci e attrezzature a meno di non curare i malanni lievi con metodi alternativi,‭ ‬ma è comunque velleitario parlare qui e ora di totale estromissione del denaro dal nostro orizzonte di senso.‭ ‬Ma è nel porsi alcune domande che probabilmente si individuano i percorsi che,‭ ‬partendo da contraddizioni immanenti,‭ ‬generano soluzioni vi via più complesse.‭

Ma cosa ne rimane del conflitto‭? ‬Intraprendere un certo tipo di percorso,‭ ‬sposta il conflitto su un piano completamente diverso‭; ‬uscendo dalle rivendicazioni e da un piano meramente vertenziale,‭ ‬si recupera sul piano della costruzione di aspettative.‭ ‬L’azione di rivendicare taluni diritti,‭ ‬presuppone che ci sia un soggetto capace di elargirli o di negarli e un insieme di soggetti che li reclama.‭ ‬Se ci si comincia a svincolare da certune regole di gioco e si imbocca un percorso di reale emancipazione,‭ ‬per esempio dal giogo del lavoro nei termini di attesa di una qualsiasi assunzione,‭ ‬si innesca un processo di incompatibilità.‭ ‬Misura dell’incompatibilità è il cambiamento di visione dello stato,‭ ‬da ente che preordina e governa i processi che aumentano o diminuiscono i diritti dei lavoratori,‭ ‬dovrebbe pssare ad un’entità incapace di intervenire nei processi decisionali collettivi in quanto estromesso da un potre decisionale sugli individui.‭ ‬certo la cosa regge fintanto che il processo rimane marginale e minoritario,‭ ‬fintanto che cioè,‭ ‬non assorbe troppa forza lavoro,‭ ‬poi comincerebbe a divenire scomodo e partirebbero le invettive e le azioni repressive,‭ ‬per ridare ossigeno al normale circuito produttivo che nel frattempo non potrebbe giovarsi della disperazione di una massa sterminata di precari e disoccupati.‭ ‬Ma in quel momento il conflitto sarebbe più intenso e più‭ “‬ricco‭” ‬in quanto non si attaccherebbero dei singoli gruppi,‭ ‬ma si tenterebbe d arrestare un processo,‭ ‬che è cosa ben diversa dalle azioni che siamo abituati a vedere,‭ ‬nelle quali si attaccano gruppi‭ “‬isolati‭” ‬che poi ricevono la solidarietà a distanza da mezzo mondo.‭

Queste poche righe non bastano a delineare tutto il portato,‭ ‬che un percorso di emancipazione dal modello socio-economico attuale comporta,‭ ‬ma sarebbe interessante riuscire a discutere di tali ipotesi.
In un momento storico complesso come quello attuale,‭ ‬è forse opportuno abbandonare certe metodiche,‭ ‬le quali si dimostrano di giorno in giorno sempre meno efficaci.‭ ‬L’illusione di usare la rete come strumento che si sostituisse e confliggesse coi mass media ha mostrato le sue lacune,‭ ‬attirare i riflettori della stampa ha dimostrato che da un certo momento in poi senza la copertura mediatica i processi perdevano slancio.‭ ‬Quindi se da un lato abbiamo la‭ “‬riscoperta‭” ‬mediatica del caporalato,‭ ‬dall’altra c’è una mediatizzazione di certe esperienze contadinistiche che non riescono a confliggere frontalmente con le maggiori problematiche sociali economiche e politiche,‭ ‬manca spesso una lettura organica della fase,‭ ‬per cui spesso le risposte sono parziali,‭ ‬e non riescono a porsi fuori dal modello esistente.

J.R.

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