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La prima lotta armata al fascismo

La prima lotta armata al fascismo

-Andrea Staid, Gli Arditi del Popolo. La prima lotta armata al fascismo 1921-22, Milano, Milieu edizioni, 2015, pagine 124, con foto, Euro 11,90.
Da quando gli arditi del popolo sono tornati sulle scene della storiografia, emergendo da un lunghissimo oblio, si sono trovati ad affrontare nuovi e vecchi nemici, evidentemente disturbati dalla ricomparsa di un’esperienza politica e sociale che si riteneva sconfitta e sepolta.
Pesa il dato di fatto che gli arditi del popolo sono stati la prima organizzazione di lotta antifascista, strutturata e diffusa a livello nazionale, che con le armi reagì al primo squadrismo fascista e alle forze dell’ordine che l’affiancarono nell’opera di aggressione contro i lavoratori e le lavoratrici, nelle campagne come nei quartieri proletari delle città.
Per quanto paradossale, in una società in cui spadroneggia la violenza, ancora oggi provoca imbarazzo anche il solo evocare la violenza di chi, in passato, l’ha usata per opporsi a soprusi e sfruttamento.
Secondo dato, dissonante, è che il sorgere degli Arditi del Popolo risulta intrecciato a fenomeni quali l’arditismo di guerra, il combattentismo, l’impresa di Fiume e persino il futurismo che per molto tempo sono stati ritenuti indistinta espressione di una cultura di destra, se non direttamente assimilati al fascismo.
Così, da destra come da sinistra, sovente con argomentazioni analoghe si continua a tentare di metterli di nuovo “fuori combattimento”.
La prima osservazione che è stata mossa riguarda l’irrilevanza dell’arditismo di guerra, ossia della scarsa entità numerica dei reduci dei Reparti d’assalto della prima guerra mondiale, nella nascita dell’arditismo “rosso”, mentre invece sarebbero confluiti in massa nei Fasci agli ordini di Mussolini.
Questa ipotesi in realtà non ha riscontri e va comunque osservato che a “politicizzarsi” furono minoranze, a destra come a sinistra, di veterani dei Reparti d’assalto che già di per se avevano avuto dimensioni numeriche abbastanza esigue (stimate in neanche 30 mila unità) se rapportate ai circa 5 milioni di soldati di leva che parteciparono al conflitto. La nascita ufficiale dell’Associazione fra gli Arditi del popolo nel 1921 avviene peraltro all’interno della sezione romana dell’Associazione Arditi d’Italia e i suoi promotori, a partire da Argo Secondari, sono tutti ex-appartenenti ai reparti d’assalto e qualcuno ancora in servizio. Le prime adesioni ad essere raccolte sono quelle di ex-legionari fiumani e ex-arditi dannunziani già in conflitto con i fascisti e Mussolini; quindi l’organizzazione si allargava ad ex-combattenti aderenti alla Lega Proletaria e si estendeva a lavoratori – di vario orientamento politico e sindacale – che, ritenendosi minacciati dalle spedizioni fasciste e dalla repressione statale, erano intenzionati a difendersi in prima persona, anche contravvenendo alla disciplina dei partiti della sinistra.
Non di meno i Fasci di combattimento – è necessario evidenziarlo contro certa retorica – raccolsero adepti in settori estranei all’arditismo e al mondo dei reduci di guerra, arruolando giovani studenti e borghesi che non avevano indossato l’uniforme, oltre a un certo numero di spostati che furono attratti dalla retribuzione che gli agrari e gli industriali assicuravano alla manovalanza per le azioni di crumiraggio durante gli scioperi e le spedizioni punitive ai danni delle lotte rivendicative dei salariati.
Altre interpretazioni, più ideologiche che storiche, riguardano un presunto prevalere dell’identità nazional-patriottica o militarista fra gli aderenti agli Arditi del Popolo contraddetto dalle risultanze della ricerca storica; infatti, ad esempio, tra un centinaio di biografie di Arditi del Popolo di Sarzana figurano ben 26 condannati, durante la prima guerra mondiale, per reati quali diserzione, rifiuto d’obbedienza, furto o insubordinazione “con vie di fatto” ai superiori, a dimostrazione di quanto la composizione dell’arditismo popolare fosse differenziata. Anche nella simbologia, il tricolore inizialmente presente fu generalmente soppiantato o sovrastato dal nero e dal rosso, con i loro riferimenti all’anarchismo e al comunismo.
Non di meno, agli Arditi del Popolo si è voluta attribuire un’improbabile vocazione democratica, sia da quanti impropriamente vorrebbero interpretarli come un’anticipazione della lotta partigiana di un ventennio dopo, depurandoli della loro matrice sovversiva e di classe, al fine di recuperarli all’interno di una più rassicurante quanto anacronistica difesa della legalità, dei valori democratici e delle istituzioni statali. Argomentazioni simili usate anche da coloro che tendono ad evidenziare e criticare i limiti di una formazione priva di una teoria non rivoluzionaria e con una dirigenza non abbastanza legata alla classe operaia e alle sue avanguardie politiche. Aspetti magari parzialmente fondati, ma che sottovalutano il fatto che, in un contesto di guerra sociale e di controrivoluzione preventiva, gli Arditi del Popolo rappresentarono l’unica risposta radicale e con dimensioni di massa che larghi settori popolari e proletari sentirono come “carne della loro carne”, armando la loro volontà di insorgere contro i difensori – in divisa o in camicia nera – dell’ordine costituito e del padronato.
Questo peraltro è quello che emerge dagli stessi programmi ardito-popolari, nella loro essenziale praticità, che si rivolgevano agli ex-combattenti e ai lavoratori senza voler interferire nelle rispettive organizzazioni politiche e sindacali: programmi per dare forza alla lotta e per l’organizzazione dal basso di un fronte proletario, come auspicato da Errico Malatesta, ben consapevole di quanto fosse importante catalizzare il cupo antagonismo di quanti erano tornati dalle trincee.
Si tratta di una storia che, in tempi di desistenza e paura, offre ancora motivi di riflessione e interesse per l’azione antifascista e antirazzista; in questo senso, è da accogliersi positivamente la riedizione del saggio di Andrea Staid arricchito dalle inedite interviste ai protagonisti e alle protagoniste delle “mitiche” barricate di Parma dell’agosto 1922, divenute paradigma di una resistenza non impossibile,. Queste testimonianze dirette, nella loro spontaneità e vivacità, hanno il merito di mettere in luce quanto gli arditi del Popolo fossero “dentro” il sovversivismo dei Borghi proletari di quella città nonché eredi di un forte sindacalismo conflittuale, ma pure intrecciato a vincoli di solidarietà tra quanti condividevano medesime condizioni di vita.
Alcune immagini, in particolare, colpiscono, come quella della giovane e misteriosa Maria Viola che, vestita da uomo, correva da una barricata all’altra o quella dei ragazzini impegnati a trarre sassi dal selciato e asportare le panche dalle chiese per farne ripari; ma forse la frase più emblematica è quella pronunciata da Regolo Negri che ben fotografa il passaggio dalla guerra mondiale alle guerra civile: «qualche anno prima ero del ’99 come ho detto, ero contro a dei nemici, nemici fino a un certo punto ma qui ero fra italiani, in più erano emiliani, romagnoli…».
emmerre

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