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La chiusura del pensiero critico nell’islam (parte seconda)

La chiusura del pensiero critico nell’islam (parte seconda)

Pubblichiamo in due parti la traduzione di un articolo pubblicato sul numero speciale di Le Monde Libertaire, settimanale della Federazione Anarchica francofona, dedicato a Charlie Hebdo, supplemento al n. 1762 (22-28 gennaio 2015). L’articolo è firmato dal compagno René Berthier, del Gruppo Gaston Leval della FAf, il testo integrale di questo studio si può trovare su monde-nouveau.net, rubrica: Religioni.

Cristallizzazione del pensiero giuridico

Nel rifiutare che la “chiusura dell’itijhâd” sia stata decretata, Mohammed Iqbal fa un’analisi terribile della situazione in cui si trova il mondo musulmano. Il rifiuto della itijhâd, ha detto «è una pura finzione suggerita in parte dalla cristallizzazione del pensiero giuridico nell’Islam e in parte alla pigrizia intellettuale che, specialmente nel periodo dio decadenza spirituale, trasforma in idoli i grandi pensatori. Se alcuni dei dottori più tardi sono stati partigiani di questa finzione, l’Islam moderno non è vincolato da questo abbandono volontario dell’indipendenza intellettuale». L’analisi non esclude in alcun modo un’atteggiamento di diniego.

Non c’è bisogno che la “chiusura delle porte dell’itijhâd” sia stata decretata da chicchessia, essa è semplicemente un fatto che basta constatare e di cui bisogna identificare le cause. La posizione preconcetta tipicamente islamica di considerare tutto da un punto di vista prescrittivi impedisce probabilmente di affrontare la questione sotto questa angolatura.

Per comprendere perché e in che modo le “porte dell’itijhâd” si sono chiuse nel mondo musulmano, può essere utile comprendere perché e come esse si siano “aperte” al mondo occidentale. Per Mohammed Iqbal, l’itijhâd è il principio del movimento nella struttura dell’Islam»; egli fa anche appello a «ricostruire il pensiero religioso dell’Islam» affinché esso sia in linea con il mondo contemporaneo. Tuttavia nello specifico, il fattore che has reso inarrestabile il movimento della cultura dell’Europa occidentale verso la dominazione politica, economica e culturale probabilmente sta proprio nel fatto che il suo “itijhâd” è consistita nel non cerare di “ricostruire il pensiero religioso” della cristianità, ma nel metterla in discussione e nel dissociare radicalmente la sfera religiosa dalla sfera temporale, ad eliminare per quanto possibile l’intervento della religione nell’ambito culturale, politico e scientifico.

Di fatto, l’evoluzione del pensiero della scienza e delle arti dell’Europa occidentale consisterà nell’affermazione contro la sfera religiosa, cosa che non sarà sempre priva di rischi, come testimonia l’interminabile lista di uomini e di donne perseguitati e arsi visi nel nome della religione cristiana. Quest’ultima, nel corso dei secoli, tentò di opporsi ad ogni evoluzione intellettuale verso un pensiero liberato dalla morsa religiosa.

Il principale errore del mondo musulmano fu senza dubbio quello di fissare in eterno l’immagine negativa che si fece (giustamente) degli occidentali al momento delle crociate (1), e di non riattualizzarla dopo che questi, assimilando il contributo della civiltà musulmana, superarono i propri maestri in quegli ambiti stessi in cui la civiltà islamica era stata tant5o fiorente.

Questa chiusura del mondo musulmano è dunque il prodotto della morsa dell’ortodossia religiosa sulla società civile, cosa riconosciuta d’altronde da M. Elmandjra:

«È alla fine del IV secolo dell’Egira (XI secolo), che alcuni decisero di chiudere la porta a questo “itijhâd” sostenendo che tutto eras chiaro nel Corano, la Sunna e nella Sharia che ne segue. Fu un errore enorme, per la semplice ragione che non si saprebbe fare una lettura del Corano che in un modo dinamico che presupponesse e accettasse il cambiamento.»

Ma ancora una volta l’analisi resta in una prospettiva essenzialmente religiosa dal momento che tutto si determina a partire dalla lettura di un libro sacro. Secondo quest’ottica, la stagnazione del mondo musulmano sarà il risultato di una decisione inappropriata nel dominio religioso.

La distinzione principale tra il mondo musulmano e il mo9ndo occidentale risiede senza dubbio nel fatto che in quest’ultimo la distinzione tra la sfera religiosa e la sfera civile è completa. Tranne rare eccezioni, i ricercatori, in qualunque ambito, non si chiedono se i risultati delle loro ricerche concordano con le prescrizioni divine, e non si preoccupano di “provare” che la Bibbia ed i Vangeli hanno anticipato tutte le scoperte della scienza (2).

Questo non significa in alcun modo che la questione è stabilita in modo definitivo: il pericolo di una regressione resta importante perché le forze che, nel mondo occidentale, tentano di imporre un ritorno alla sfera religiosa restano potenti. È significativo che in questa lotta, esse hanno il sostegno dei religiosi musulmani, e non necessariamente dei più radicali.

L’opposizione tra fede e ragione

L’opposizione tra fede e ragione, che apparve nell’Occidente medievale a partire dall’XI secolo, non è certo estranea all’islam medievale fino all’XI secolo, e anche successivamente. In entrambi i casi non si tratta di un’opposizione intesa come tentativo della ragione di eliminare la fede, ma come tentativo di un dialogo nel quale la fede afferma la sua preminenza e la ragione tenta di mostrare di non essere incompatibile con la fede. Tranne delle rare eccezioni, l’ateismo non è ancora in programma.

Una corrente dell’islam, il mutazilismo, che apparve nell’VIII secolo e sparì nel XIII, difendeva il libero arbitrio e l’esercizio della ragione. Tale corrente affermava allo stesso tempo la necessità di situare il Corano nel proprio contesto. Il mutazilismo, che tentava di mostrare la compatibilità tra la filosofia e la religione, restava tuttavia una scuola di pensiero teologico, con i metodi propri di ogni religione nel momento in cui esercita il proprio dominio: poiché i califfi avevano adottato a partire dall’827 le loro indicazioni, i mutaziliti organizzarono tra l’833 e l’848 delle persecuzioni vere e proprie contro gli eruditi che non aderivano alle loro tesi e che rifiutavano di ammettere che il Corano era una creazione umana. Il movimento cominciò a declinare quando un califfo decise infine di non sostenerli più.

Le persecuzioni organizzate dai mutaziliti furono senza dubbio una delle ragioni del fallimento di questa corrente. Questa scuola sparirà sotto i colpi dell’ortodossia sannita che considerava che la rivelazione divina non dovesse essere sottomessa alla critica. L’apparizione del mutazilismo nell’VIII secolo sotto il califfato di Bagdad non ha niente di sorprendente.

Si trattava di un centro culturale dall’influenza incomparabile, vi si trovavano innumerevoli letterati che si occupavano soprattutto di tradurre i testi greci. Dopo Averroè, ha detto Dominique Urvoy, ossia nell’XI secolo, si nota «la perdita di interesse pubblico per la filosofia a vantaggio della mistica» (3).

Gli autori musulmani del Medioevo che contestano la fede in una rivelazione divina, che negano la validità delle scritture rivelate e la profezia non sono certamente numerosi ma non mancan. La fede nella profezia è un punto centrale del dogma musulmano dal momento che non basta credere in unico Dio, bisogna anche credere che Maometto è il suo profeta. Troviamo nel IX secolo il teologo e filosofo neoplatonico Ibn al-Rawandi, nell’XI secolo il poeta Abu ‘l-Ala’ al-Ma’arri e un filosofo, al-Razi (noto anche col nome latino di Rhazes).

Ibn al-Rawandi e al-Razi scrissero delle opere in cui si rifiuta esplicitamente la nozione di profezia. I loro libri non sono sopravvissuti e sono soprattutto noti per le citazioni che ne fanno gli autori che li rifiutano, o dalle opere scritte da loro estimatori, che li citano (questo è il casi di al-Rawandi).

Quel che sappiamo basta tuttavia a mostrare il carattere radicale della loro critica. I profeti vi sono descritti come degli impostori, dei ciarlatani che sfruttano la credulità delle persone grazie alla loro conoscenza dei fenomeni naturali (4).

Questi due autori pensano che la ragione basti per condurre l’umanità alla verità, vale a dire a Dio. Essi rifiutano ugualmente l’idea del male e del dolore come giustificazione di una punizione divina.

Non bisogna quindi vedere questi autori come degli atei. Essi criticano la religione ma non mettono in discussione l’esistenza di Dio.

I pensatori non ortodossi dell’islam non sono mai riusciti a costituire in seno al mondo musulmano un movimento equivalente a quello dell’illuminismo in Europa occidentale. Non bisogna tuttavia mistificare questo movimento.

Non è mai esistita un’enorme ondata di razionalismo che ha sommerso il pensiero religioso dominante dell’epoca. Se fosse stato possibile fare delle statistiche concernenti la pubblicazione dei libri nel XVII e nel XVIII secolo, si constaterebbe che le opere benpensanti che andavano nel senso dell’ideologia dominante furono considerevolmente più numerose di quelle che seguivano lo spirito di rinnovamento. Ciò che caratterizza questa epoca, è che lo spirito dell’Illuminismo ha toccato inizialmente un ristretto numero di persone, ma situate in alto nella scala sociale, e che è poco a poco disceso fino alle classi medie per impregnare infine una parte importante della società. Non c’è mai stato niente di equivalente nel mondo musulmano.

Conclusione

Numerosi autori musulmani sembrano incapaci di uscire da una prospettiva dualista in cui, tra fede e ragione, religione e politica, uno deve necessariamente definire l’altro: si sarà fondamentalisti se si pensa che è la fede che domina la ragione, la religione che determina la politica, e si sarà “partigiani di un islam moderato” nel caso contrario – restando tutti d’accordo sul modo in cui si compie la volontà di Dio, essendo questa interpretata da dei saggi raccolti in quattro o cinque scuole di giurisprudenza.

Nella misura in cui è Dio in ultima istanza che definisce la legge, l’opzione “fondamentalista” e l’opzione “moderata” non sono in fondo che gradi differenti di uno stesso approccio. Pochi autori musulmani affermano, come fa Gamal al-Banna, che «noi non siamo musulmani per metterci al servizio del fiqh, ma per mettere il fiqh al servizio della vita» (5).

Ci sono voluti quasi mille anni per arrivare ad una deconfessionalizzazione della vita culturale e politica in Francia, dove oggi un terzo della popolazione si dichiara atea, un altro terzo si dichiara senza religione, e l’ultimo terzo credente in Dio. Per gli anarchici è un dato abbastanza soddisfacente, ma per i credenti evidentemente non o è. Sarebbe ingenuo pensare che i seguaci delle diverse religioni si spartiscano il mercato della fede accettando di restarsene là. Sarebbe ingenuo pensare che queste religioni non faranno del “logrolling (concetto anglosassone che significa “coalizione di lobbies”) per imporre un ritorno al passato.

La lotta non è mai finita.

R.B.

1 –Gli Occidentali sono ancora oggi spesso designati come i “crociati”.

2 –Degli autori musulmani si sforzano di mostrare che il Corano aveva anticipato lke scoperte della scienza moderna nei domini dell’astronomia, della fisica, della geologia, dwella biologia, della botanica, della zoologia, della fisiologias, dell’embriologia, etc. Infatti il Corano non fa che riprendere le conoscenze del proprio tempo esposte dai Greci e dai Romani (Vedi:Le Coran et la sciente moderne sont-ils compatibles? del Dr. Zakir Naik. http://www.way-to-allah.com/fr/documents/LeCoranEtLaScienceModerne.pdf

3 –Dominique Urvoy, La philosophie, entre rsison et rèvèlation, dans les textes fondamentaux de la pensée en Islam, numero speciale de Punto, novembre-dicembre 2005, p. 59.

4 –Cfr. Sarah Stroumsa, Freethinkers of Medieval Islam, Ibn al-Rawandi, Abû Bakr al-Râzî

and their impact on Islamic Thought.

5 –Cfr. L’Islam contre ses démons, Gamal al-Banna era il fratello del fondatore dei Fratelli musulmani Hassan al-Banna e criticasvas duramente i Fratelli musulmani-.

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