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Referendum del 4 dicembre: le ragioni dell'astensione!

Referendum del 4 dicembre: le ragioni dell'astensione!

Yo-no-voto-590x400-color-300x290Il 4 dicembre ci sarà in Italia un referendum su alcuni articoli della Costituzione italiana che riguardano il funzionamento delle istituzioni statali, le modalità di elezione del Senato e la ridistribuzione dei poteri tra Camera e Senato, tra Regioni e Stato centrale.
Noi invitiamo tutti a disertare le urne quel giorno e far sentire tutta l’estraneità delle classi subalterne, dei ceti popolari a un referendum che non è altro che uno scontro di potere tra apparati politici.
Apparati politici i quali – tutti, nessuno escluso – hanno impoverito milioni di persone all’interno del paese e hanno portato la guerra all’esterno.
In questi decenni non solo non ha fatto alcuna differenza chi fosse al governo, ma non ha fatto alcuna differenza neanche che i parlamenti fossero stati eletti con differenti sistemi elettorali, come il “Mattarellum” o il “Porcellum”. o che le regole sulle autonomie locali fossero quelle vecchie o quelle che hanno seguito la riforma del 2001.
Perché dovremmo credere che domani la realtà sarà diversa?
UNA NECESSARIA PREMESSA GENERALE
La logica del “tanto peggio, tanto meglio” non ci appartiene!
Quando i lavoratori, i precari, i senza casa, gli studenti, gli indigenti, lottano con lo sciopero, la manifestazione, il blocco stradale, l’occupazione di case, ma anche la semplice contro-informazione o l’espressione artistica e si organizzano per ottenere conquiste sociali, per difendere anche un solo palmo di libertà reale (libertà di espressione, di stampa, di movimento, libertà sindacali, di sperimentazione comunitaria, ecc.), come anarchici siamo sempre in prima fila, sfruttati tra gli sfruttati, oppressi tra gli oppressi, nella lotta per conseguire risultati concreti.
Viceversa quando ci si propone di delegare, di votare i partiti a qualsiasi livello, di parteggiare per un certo sistema elettorale, per una forma istituzionale, piuttosto che per un’altra, noi non ci stiamo.
“Il referendum in quanto strumento di democrazia diretta è ciò che permette al popolo di essere davvero sovrano”, questo ci hanno da sempre raccontato. Peccato che non si viva in comuni autogestite fatte da uomini e donne liberi e uguali, bensì in un mondo dove regnano le leggi del profitto e della gerarchia, tra stati sempre più centralizzati e in cui a decidere sono i poteri economici, politici e militari.
Alla nostra scarsa fiducia generale verso lo strumento referendario, si aggiunge il fatto che che il 4 dicembre non si vota su una tematica sociale, bensì su una questione istituzionale.
Per noi l’azione istituzionale, a qualunque livello, produce effetti nulli o del tutto irrisori a breve termine e nefasti a medio e lungo termine.
Ed è l’osservazione quotidiana dei fatti, vicini e lontani, a rafforzare questa nostra convinzione.
Un recente esempio rivelatore dovrebbe essere quello della Grecia, dove il partito Syriza, dopo aver cavalcato i movimenti e le lotte contro i diktat dei grandi poteri finanziari, una volta salito al governo, ha realizzato esattamente la stessa politica dei governi precedenti (i pensionati greci oggi chiamano Tzipras “il merda”).
Ma basta ricordarci cosa è accaduto nel nostro paese in tempi non lontani.
Nel ’94 e nel 2002 Berlusconi fu clamorosamente sconfitto sulle pensioni e sui licenziamenti liberi (art. 18) da grandi movimenti di scioperi e di piazza, cioè dall’azione diretta, mentre quasi tutte le più brutte leggi che sono passate nel nostro paese (pacchetto Treu, Riforma Dini delle pensioni, Riforma Bindi della sanità, Riforma Berlinguer della scuola, Buona Scuola di Renzi, Job Act, Piano Casa, ecc.) sono state il frutto dell’azione istituzionale, portata avanti dallo schieramento “amico”.
Anche sul piano della libertà abbiamo ben più di un orrore realizzato dal ceto politico della sinistra: si pensi, solo per fare degli esempi, al famigerato corpo di polizia penitenziaria i GOM, creati dal fu ministro comunista della Giustizia Oliviero Diliberto, o ai continui aumenti di spesa per esercito e , realizzati, da tutti i governi ispirati alla sinistra parlamentare.
Certo accade, in qualche rarissimo caso, che l’azione istituzionale ottenga qualche piccolo risultato. Ma poi in ogni caso il prezzo da pagare è troppo alto: i movimenti perdono mordente e autonomia, i piccoli miglioramenti vengono presto annullati, mentre viene inibita l’aspirazione a una vera alternativa di società, che la faccia finita con guerre, disuguaglianze e la gerarchia tra gli uomini.
Intendiamoci! Per noi aspirare ad una alternativa di società non significa aspettare “il giorno del giudizio”, cioè la Rivoluzione, ma significa che mentre si lotta per difendere “pane e libertà”, mentre si contrastano tutte le guerre, si comincia a praticare, qui ed ora, forme di autogestione che si sottraggano alle logiche del profitto e della gerarchia.
Facciamo riferimento a esperienze di autogestione di spazi, terre, case, e in qualche caso anche di fabbriche o servizi, che si sono sviluppate in vari paesi del Mondo (Argentina. Messico, Grecia, ecc.) ed in misura ridotta anche in Italia e nel fiorentino.
Facciamo riferimento a quegli spazi di libertà reale che quotidianamente i movimenti si conquistano nelle piazze quando violano le leggi liberticide, o i lavoratori quando scioperano fuori dalle norme (come hanno fatto lavoratori francesi che hanno violato lo stato d’emergenza nazionale) o i giovani dei quartieri quando occupano case edifici abbandonati, volgendoli ad uso sociale o abitativo.
Ma queste pratiche di azione diretta, autogestione e libertà, sono inconciliabili con il mondo delle istituzioni, dove sono insite la delega e la complicità con i poteri economici.
Le istituzioni statali rappresentano la nostra controparte, il nostro nemico, con cui, certo, talvolta si è costretti a fare un armistizio, come quando i lavoratori approvano un accordo sindacale che in qualche modo li soddisfa.
Ma di come il nemico, la controparte si organizza al proprio interno non può e non deve interessarci.
SULLO SPECIFICO DEL REFERENDUM DEL 4 DICEMBRE
Il sorprendente diffondersi, in certi ambienti, di umori favorevoli alla partecipazione al referendum sulla riforma Boschi-Renzi, è dovuta in molti casi ad un’errata percezione della natura reale di tale riforma, favorita anche dalle propagande incrociate dei due fronti referendari.
Si agitano spauracchi strumentali a distogliere l’attenzione della massa da altre questioni, fra cui conviene citare gli ennesimi tagli a un servizio sanitario già letteralmente al collasso o una politica estera sempre più guerrafondaia, con nuovi bombardamenti sulla Libia iniziati già nel mese di agosto e l’invio di 150 soldati in Lettonia, al servizio di un’organizzazione criminale legalizzata chiamata NATO, di cui il nostro paese ha sempre fatto parte.
Qui di seguito cerchiamo di fare un po’ di chiarezza sulle questioni e gli argomenti più comuni che vengono portati a sostegno del NO.
1 La ragione che sembra convincere molti della necessità di partecipare al voto referendario, è che se vince il No cade il governo Renzi, responsabile – effettivamente – di misure anti-sociali senza precedenti (Job Act, Piano Casa, Buona Scuola, ecc.).
Siamo di fronte ad un vero assurdo. Che cada un governo in un modo o nell’altro non è secondario!
Se Renzi fosse caduto, battuto dalle piazze, sul Job Act, sul Piano Casa, sulla Buona Scuola, o sui tagli alla sanità, il governo che gli fosse succeduto avrebbe dovuto usare una qualche cautela nel replicare certi provvedimenti.
Ma un Renzi che cade nel contesto di un referendum istituzionale, affossato da uno schieramento che va da Salvini, a Forza Nuova, a Berlusconi, a Di Maio, a Bersani, alla Camusso, certo non apre la strada ad un quadro sociale e politico migliore, anzi rischia prepararne uno ancora peggiore.
2 Nel referendum del 4 dicembre non è in ballo nessuna delle “libertà di opposizione” (espressione, stampa, sciopero, associazione, ecc.) , che sono le uniche libertà che dovrebbero interessare ai movimenti di contestazione del capitalismo.
Purtroppo le libertà dei movimenti e del sindacalismo combattivo sono minacciate molto seriamente, ma del tutto a prescindere dal referendum. E’ l’involuzione generale del sistema dominante, di cui le istituzioni statali sono espressione e apparato politico, a minacciare ogni giorno la libertà.
3 E’ molto significativo che mentre nel 2001 (riforma del titolo V, centro-sinistra) e nel 2006 (Devolution berlusonian-leghista) si agitava lo spauracchio del federalismo come fonte di distruzione delle garanzie sociali (in particolare della sanità), oggi che Renzi riequilibra i poteri verso le Stato centrale, gli stessi personaggi agitano, al contrario, lo spauracchio della centralizzazione.
Si è accorto della contraddizione Ivan Cavicchi, esperto di sanità di area CGIL, in un artcolo su Il Manifesto. Il buon Cavicchi ha tentato di “cavicchiarsela” dicendo che il problema è che la ricentralizzazione del Servizio Sanitario Nazionale avviene non sul Ministero della Salute, bensì sul Ministero dell’Economia, il quale pensa solo a risparmiare.
Ovviamente anche un bambino capisce che, poiché il Ministro dell’Economia controlla già il finanziamento ai vari ministeri, la Boschi-Renzi non cambia assolutamente nulla di sostanziale.
4 La legge elettorale. E’ davvero vero che un sistema elettorale più proporzionale aiuta le lotte sociali, mentre quelli più maggioritari le ostacolano, come sostengono alcuni?
Basta guardare intorno a noi per avere forti indizi che vanno in senso contrario.
In Francia c’è uno dei sistemi elettorali più maggioritari che si possano pensare, cioè il doppio turno di collegio, combinato per altro con un sistema semi-presidenziale a livello istituzionale. Eppure, in Europa, è proprio lì che le lotte difensive dei lavoratori e dei movimenti sono riuscite ad essere più ampie e a rallentare un minimo la devastazione sociale del capitalismo contemporaneo.
Per altro sono molti, anche tra quelli che sostengono il NO referendario, a sostenere che ormai parlamenti e governi nazionali non contano più nulla, mentre il potere reale sta sempre più negli organismi finanziari e tecnocratici internazionali.
Ma allora che senso ha dare una qualche importanza addirittura ad una banale legge elettorale?
5 Il fatto che i politici siano tutti nominati e dipendenti dalle segreterie dei partiti non dipende da quello o quell’altro sistema istituzionale. Tale fatto è lo specchio dell’attuale schema politico, basato sui leader e sull’assenza di una base militante dei partiti che non siano i funzionari pagati dal leader stesso.
Le motivazioni sono prevalentemente economiche: quando il capitalismo si basava sull’espansione dei mercati interni nazionali, aveva senso avere dei militanti a cui distribuire favori e prebende in cambio di un sostegno clientelare, che assicurava profitto da una parte e controllo politico dall’altra.
Ora il capitalismo è meno dipendente dai singoli mercati nazionali, non ha bisogno di ridistribuire ricchezza e si preferisce il “partito liquido” basato sulla telegenicità dei leader.
6 Il Senato con la riforma sarebbe nominato dagli enti locali con elezione di secondo grado da parte delle Regioni e avrebbe meno poteri.
E allora? Si pensa che sia più democratico il Senato votato su lista bloccata come quello attuale?
7 Lo stato di guerra è dichiarato, secondo la Boschi-Renzi, a maggioranza assoluta della Camera, mentre ora è a maggioranza delle due camere. Cambia qualcosa?
L’Italia ha partecipato e sta partecipando a 44 missioni militari all’estero. La Costituzione, che ripudia la guerra, in questi decenni non è servita a nulla.
E poi viene da domandarsi: quando la guerra è fatta a norma di Costituzione è meno orribile?
ASTENSIONE: WHAT ELSE?
Alle politiche del 2013 addirittura, si disse che “il primo partito è quello dei non-votanti”, con oltre 11 milioni di persone che non si sono recate alle urne. L’astensionismo viene però spesso strategicamente descritto come un fenomeno “fisiologico” e strutturale nel nostro sistema. O ancora più spesso giornalisti, opinionisti e politologi sostengono che gli italiani si siano “stufati della politica”.
Certo, dentro il fenomeno dell’astensione ci sta tutto e il contrario di tutto, ma è proprio qui che coloro che contestano radicalmente l’ordine esistente, devono riuscire a penetrare e a farsi sentire. La massa è stufa della politica istituzionale, è quindi ancor più necessario far capire l’efficacia e l’impellente necessità di un agire politico dal basso, non sottomesso alle politiche di palazzo.
Occorre quindi più che mai un’unione dal basso reale, che scarti una volta per tutte l’opzione della delega e che miri al contrario ad una lotta anti-istituzionale, sostenuta da una solidarietà che, in momenti di repressione accaniti come questo, riesce però ad emergere in tutta la sua forza.
PER L’AUTONOMIA DEI MOVIMENTI DAL QUADRO ISTITUZIONALE
IL 4 DICEMBRE DISERTA LE URNE!
Gruppo Anarchico Azione Diretta Firenze
naldini.f@virgilio.it


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