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Existence March

Existence March

marchExistence March è un’ azione di protesta di disobbedienza civile partita da Bergen in Norvegia nel mese di settembre del 2015 . Promotrici sono due giovani donne curde che hanno percorso 2750 chilometri a piedi nel corso degli ultimi sedici mesi attraverso l’Europa. Sono giunte a Roma e prima di ripartire hanno lasciato un contributo per Umanità Nova che riportiamo di seguito.
Mi chiamo Bahar ed insieme alla mia amica Sahadet abbiamo deciso di intraprendere questo viaggio per conoscere, condividere ed esprimere la nostra solidarietà per quello che sta accadendo nelle regioni del Kurdistan. Noi siamo curde e siamo nate in Turchia. Ci siamo trasferite in Norvegia dove viviamo da oltre 15 anni. Dopo aver visitato nel 2014 e nell’estate del 2015 la regione del Kurdistan turco, abbiamo deciso di dare vita a questa marcia. Spinte dalla necessità di cercare, come curde, il nostro spazio culturale ed esistenziale abbiamo cominciato questo viaggio, il nostro cammino a piedi. Cresceva in noi la volontà di partire, andare per le strade ed urlare : “Noi siamo qui! Noi abbiamo qualcosa da dire! Noi siamo sulla terra!” Volevamo anche conoscere e capire cosa fosse accaduto un centinaio di anni fa, quando il nostro popolo è stato diviso e perché. E allora è iniziata la nostra marcia ma non avevamo e ad oggi non abbiamo alcuna organizzazione di supporto. Abbiamo cominciato a muoverci, ad organizzarci per lasciare la casa, il lavoro, a preparare i bagagli, a studiare le mappe e le strade da dove saremmo volute passare. Abbiamo deciso che avremmo voluto lasciare una testimonianza in ogni paese dove saremmo passate, un comunicato, un appello. Così noi siamo arrivate ad Oslo da Bergen e ci siamo fermate lì 3 settimane. In 2 settimane abbiamo redatto un testo, visitato alcune organizzazioni, associazioni, tenuto dei seminari perché le persone volevano sapere perché stavamo facendo questo. Con la solidarietà di un gruppo di studenti curdi in Norvegia,prima di partire,avevamo organizzato un seminario su di noi e così avevamo spiegato cosa stavamo facendo e perché. I risultati sono stati molto positivi perché alla fine del seminario le persone volevano condividere e così ci hanno aiutato a preparare un kit da viaggio, una piccola borsa con poche cose leggere e ci hanno dato dei consigli su come muoverci. Dopo aver reso pubblico il nostro appello ci siamo mosse per Copenaghen. Noi non abbiamo un’organizzazione o un’associazione alle spalle, siamo semplici persone che vogliono fare qualcosa per cambiare le cose. Dopo Copenaghen siamo arrivate a Berlino, sempre a piedi, ed anche qui abbiamo avuto degli incontri. Abbiamo attraversato a piedi l’ Olanda, il Belgio, la Francia. Abbiamo percorso a piedi 2750 chilometri e ufficialmente noi siamo a Nizza. Abbiamo camminato fino a Nizza ma qui abbiamo avuto problemi di salute e così ci siamo dovute fermare e prendere un treno fino a Roma. Siamo state qui in tutto questo mese. Nei paesi che abbiamo visitato abbiamo imparato molto. Abbiamo studiato la situazione, la questione curda e la politica europea. Il nostro messaggio iniziale si è arricchito verso la società civile, i media, ora abbiamo un appello più ampio, vogliamo rivolgerci alla società civile tutta, alle istituzioni civili e religiose e militari di questo paese ed internazionali, dall’est ad ovest del mondo, ed europee,dalla NATO, all’UNESCO. Noi vogliamo redigere una petizione da presentare all’Unesco. In questo viaggio abbiamo raccolto un dossier attraverso testi, documenti, immagini, video, abbiamo 200 ore di filmati, un breve documentario. Noi vogliamo intervenire all’assemblea dell’UNESCO, dell’ONU per esprimere le nostre ragioni. E dopo daremo vita ad un sit in, un presidio di fronte alle Nazioni Unite e inviteremo tutte le persone che abbiamo incontrato nel nostro cammino a raggiungerci e sedersi insieme a noi per qualche giorno, qualche ora, un’azione di fronte alle Nazioni Unite, e non ci muoveremo finché non ci faranno parlare e non ci daranno una risposta per quello che noi chiediamo nell’appello. Noi chiediamo il riconoscimento dell’identità culturale del popolo curdo che sulla carta non esiste. I curdi iracheni del KRG non sono rappresentativi per tutto il popolo curdo. Perché accade questo? Forse perché non siamo una nazione? Forse si, forse no, ma noi siamo un grande gruppo di persone, abbiamo una lingua, una storia, una geografia, abbiamo una questione irrisolta sui confini. Nella conferenza di Ginevra sul Medio Oriente nel 2016, ed in altre conferenze internazionali dove si prendono decisioni sui curdi, sul Medio Oriente, sulla Mesopotamia, noi curdi non possiamo entrare e questo crea un grosso problema a tutta la popolazione. Il rifugiato curdo ha un doppio problema quando arriva in Europa, per la lingua, per l’attesa al confine per avere aiuto, non ci sono brochure o corsi di lingua per i curdi. Questo è l’effetto diretto ed indiretto per tutti noi. Noi siamo 35 milioni e vogliamo dare un senso alla nostra esistenza per il futuro e trasmettere la nostra lingua attraverso le generazioni. Noi vogliamo esistere. Non vogliamo essere costretti ad essere sempre qualcos’altro. Existence March è un’iniziativa personale mia e della mia amica, ma siamo in solidarietà, abbiamo bisogno di stare con tutti gli altri.
Solidarietà è quando si ha la possibilità di dare e ricevere vicendevolmente un regalo, condividere e scambiare, questa è per me la solidarietà.Non è un regalo se non ci può essere scambio o condivisione. Il mio regalo è l’esistenza. Io non posso scambiare con te, non potrà mai essere solidarietà. Io voglio essere in solidarietà con te con il mio proprio personale regalo e vorrei donartelo prima di riceverlo da te. Questa per me è la solidarietà. Questa è una cosa molto importante che abbiamo imparato in questo viaggio. Noi non abbiamo un’organizzazione, così in 16 mesi non abbiamo avuto finanziamenti, solo la gente ci ha aiutate, alcune organizzazioni e fondazioni ci hanno aiutate, certo, quando abbiamo spiegato cosa stavamo facendo.
Abbiamo in progetto ora una mappa per mettere a fuoco dei punti, un feedback dei luoghi e comunità incontrati finora in questo viaggio. Abbiamo disegnato una linea con luoghi ed i contenuti che abbiamo incontrato in questi luoghi. Quelli che per noi sono stati più importanti. Noi abbiamo incontrato molte persone e luoghi, una grande ospitalità perché non dimentichiamo che molte persone ci hanno aperto le porte delle loro case, ma alcuni sono stati maggiormente significativi. Per esempio una delle prime tappe è stata Rostock in Germania al confine con la Danimarca. È una città portuale, ci arrivano le navi e avevamo contatti con gruppi studenteschi che accolgono e supportano con il loro lavoro volontario l’ospitalità per le persone che arrivano da altri paesi. Al porto c’è un terminale dove si fermano i rifugiati. Noi siamo arrivate tardi così abbiamo dormito al terminal e qui abbiamo trovato molti curdi. Il gruppo di studenti di cui avevamo i contatti, che sta supportando in modo autorganizzato e autofinanziato, quando sono arrivati ci hanno portato nel loro posto dove ospitano e supportano. E questo è importante perché quando arrivi da molto lontano non hai nulla, non hai coperte, bagagli ecc e quindi se trovi un luogo ad accoglierti è importante. Qui mi sono chiesta che cosa significasse la parola rifugiato. Non sapevamo se considerarci ospiti o rifugiate, se il nostro viaggio fosse comune, se fosse spinto dalla necessità di sopravvivenza o dal piacere di viaggiare per conoscere luoghi diversi dal proprio. Rifugiata per me era troppo categorizzante così ho preferito la definizione di ‘ospiti’ a quella di ‘rifugiati’. Gli studenti avevano allestito una tenda con frutta la mattina a colazione ed alcuni piatti di base, farina, zucchero, mele, banane, formaggio. C’erano molti bambini ed un angolo con vestiario e scarpe dove potevi cambiare le tue cose con altre. Offrono anche ospitalità in città. Ci sono diverse rotte attraverso i confini in Grecia, in Italia, in Francia, attraverso i Balcani, le persone si muovono per raggiungere il nord Europa, Rostock per me è stato speciale.
Tutti i luoghi incontrati sono stati importanti ma in particolare alcuni luoghi sono stati speciali nella nostra memoria di viaggio: Rostock e Speck in Germania, Nimega in Olanda hanno influenzato le nostre scelte e ci hanno reso consapevoli di come la diversità sia una questione comune nelle culture e come i confini geografici delle culture non coincidano con i confini politici. Per esempio le lingue. A Nimega, in Olanda si parlano sia olandese che tedesco. In alcuni villaggi al confine parlano olandese ed in altri tedesco. Quando siamo arrivate a Nimega dalla Germania, camminando naturalmente, noi avevamo bisogno di acqua e l’Olanda è un paese molto piccolo, è molto facile andare da un villaggio all’altro. Arrivammo a Nimega che era già sera e senza acqua, così abbiamo bussato ad una grande casa e siamo rimaste lì un’ora prima di ricominciare. In questa grande casa, la famiglia possedeva 70 cavalli e si occupavano di equitazione. Avevo sentito parlare tedesco per un mese così mi scusai con la donna della casa che ci aveva accolto perchè non stavo capendo il suo parlarci in tedesco. La donna ci informò che ci stava parlando in olandese e non in tedesco. 10 chilometri prima parlavano tedesco ed ora qui, dove tra l’altro eravamo in un’unica grande casa, all’entrata della città di Nimega non parlavano più tedesco ma olandese. Per me questo è stato significativo su come le persone proteggono la loro cultura. E mi è rimasto impresso questo aneddoto. Il confine con la Germania era molto vicino ma questo evento mi ha fatto ricordare la mia situazione quando ero in Turchia, la differenza di livello tra il potere ufficiale e la nostra impossibilità di esprimere ufficialmente la nostra lingua e cultura curda. La comunità sociale va avanti, ma non c’è felicità come persona, perché non hai una tua quotidianità, possibilità di vita, come un’esiliato nella tua stessa terra e casa. L’ufficialità è rappresentata dallo stato e l’altra parte è la gente. L’ufficialità, il sistema, ti toglie la possibilità di vita con la cultura generale, con la sua politica di potere, con i confini, con il denaro. Ma non si devono dimenticare le origini, i curdi non hanno dimenticato.
Ci sono molte culture minoritarie come i curdi che non possono scegliere come vivere e parlare, trasmettere la loro lingua. Se la letteratura propria di una lingua non si sviluppa, non si diffonde, è cancellata la cultura di un popolo e si dà spazio totale al nazionalismo. Si rompono le connessioni umane e sociali. Nel 1923, la politica degli stati ha rotto questa linea di convivenza tra le diverse culture dei popoli ed ha creato sempre più odio tra le diverse culture turche, curde, arabe. Io sono cresciuta in una casa in cui si parlava in curdo e fuori le persone non mi capivano. Molte espressioni e parole curde sono state turchizzate.
Non avendo denaro per pagarci da dormire io e Sahadet abbiamo bussato anche alle porte delle chiese di diverse religioni, cattoliche, protestanti, evangeliche ecc. Le chiese cattoliche ci hanno negato l’ospitalità.
Abbiamo avuto un’esperienza negativa quando abbiamo bussato ad una chiesa cattolica a Beaujeu in Francia. Arrivammo alle 23 di sera molto tardi e bussammo alla porta della chiesa.Il parroco aprì una finestra dal secondo piano, disse qualche frase in inglese e chiuse la finestra violentemente dicendo che non c’era possibilità di ospitarci. Era estate, così dormiamo di fronte ad una banca ed alle 6 di mattina la banca apri e ci svegliò immediatamente la polizia chiedendoci i documenti e dove stavamo vivendo. Noi eravamo affamate, non avevamo soldi per un hotel che tra l’altro era pieno. Siamo affamate, mangiamo e poi ripartiamo, chiedendo di lasciarci comprare del pane ma il poliziotto ci intimò di andarcene via subito, di lasciare il villaggio.
Abbiamo dormito altre volte all’aperto, una volta in Danimarca in una tenda in un giardino ed un’altra volta in Francia, una città turistica, sempre in tenda ma poi la tenda si è rotta.
La maggiore difficoltà di questo viaggio è stata la parte economica. Una volta non abbiamo avuto soldi e non abbiamo mangiato per 4 giorni e questa è stata la difficoltà maggiore. Quando abbiamo camminato ed incontrato villaggi non abbiamo mai avuto problemi per mangiare ma nelle grandi città sì, in Germania abbiamo avuto serie difficoltà per mangiare. Penso che ciò sia la difficoltà delle persone di legare nelle grandi città, dove ci si dimentica di essere umani, non c’è la possibilità anche di bussare direttamente alle porte delle case per dire che hai fame. Ma se sei economicamente indipendente e puoi compare il cibo non hai problemi.
Il viaggio non è pianificato tecnicamente prima, è casuale e dipende da dove ci fermiamo, i contatti, le persone che conosciamo durante il viaggio, il tempo e le necessità per cui ci fermiamo in un luogo. Il camminare, l’analisi, registrare il viaggio è per noi importante, è un tempo esistenziale e non tecnico.
Non abbiamo mai dormito nei parchi per paura degli animali selvatici.
Nelle riprese filmate del nostro viaggio abbiamo le immagini del nostro camminare, la strada davanti a noi, ed arrivate alla fine ancora strade, non ci sono persone, solo immagini dei paesaggi che abbiamo attraversato ai margini della strada a volte bianca, o grigia, il sole, campi vicini e le foreste.
(A) for Freedom-Roma
 
 
 


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