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La vendetta della Procura. Perquisiti quattro anarchici per la solidarietà a Laura-Comunicati solidali

La vendetta della Procura. Perquisiti quattro anarchici per la solidarietà a Laura-Comunicati solidali

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Nella notte tra venerdì e sabato la Digos ha perquisito le abitazioni di quattro compagni e compagne della Federazione Anarchica Torinese. Sono stati sequestrati cellulari, computer, abiti.
Le perquisizioni sono state disposte dal PM Rinaudo, che sta indagando per diffamazione e imbrattamento. Nel mirino di Rinaudo le scritte comparse a fine marzo in solidarietà a “Laura”, una donna stuprata due volte, la prima da un collega di lavoro, Massimo Raccuia, la seconda dal tribunale che lo ha assolto. Un collegio di sole donne, presieduto dalla giudice Diamante Minucci, ha stabilito che Laura non è credibile. Non è credibile perché ha detto solo “no”, “no, basta”, per fermare l’uomo che la stuprava. Per il tribunale di Torino dire “Basta” non è sufficiente. La donna stuprata deve avere sul corpo i segni della violenza, deve urlare, deve essere disposta a morire per essere creduta.
Sono passati vent’anni da quando venne cambiata la legge che considerava lo stupro un “delitto contro la morale”. Lo stupratore non faceva violenza ad una donna, ma al suo “onore” e a quello di tutti i suoi parenti maschi. Nel 1996, dopo decenni di manifestazioni femministe, la violenza sessuale venne ascritta ai “delitti contro la persona”.
Tutto cambiava ma molto rimase come prima. In tanti, troppi processi la donna stuprata siede sul banco degli imputati: la sua vita viene messa a nudo nelle aule dei tribunali. La sua parola non basta. Non basta mai. Il discrimine ovvio, quello del consenso, viene costantemente messo in dubbio. La cultura patriarcale continua a celebrare i propri fasti nei sacrari della giustizia di Stato.
La sentenza di assoluzione di Massimo Raccuia ha suscitato ampia indignazione in tutta Italia.
Tante le manifestazioni di solidarietà a Laura, culminate nella giornata di lotta del 12 aprile, quando, in tantissime città si sono tenuti presidi di fronte ai tribunali.
Le scritte comparse davanti al tribunale e alla sede della Croce Rossa di via Bologna hanno ripetuto quanto veniva scritto e detto in tante piazze della penisola: “La giudice Minucci protegge chi stupra”, “Raccuia stupratore”.
La storia di Laura è simile a tante altre. Raccuia aveva una buona posizione in Croce Rossa, Laura all’epoca era una precaria, già vittima di violenze durante l”infanzia. Nel nostro paese una donna su tre ha subito molestie o stupri. I violenti giocano sulla paura, sul ricatto del lavoro, dei figli, sulla minaccia di altri, peggiori, soprusi, umiliazioni.
Lo stupro non ha nulla a che fare con la sessualità, la violenza contro le donne, la violenza di genere è esercizio di potere, è la reazione della cultura patriarcale alla libertà che le donne si sono prese, pezzo dopo pezzo. Anche a costo della vita.
“Lo stupratore non è un malato ma il figlio sano del patriarcato” era scritto su uno dei cartelli esposti al tribunale di Torino dalla Rete Non Una di Meno.
La cultura dello stupro si alimenta di sentenze come quella di Diamante Minucci, che ha disposto la trasmissione degli atti alla Procura di Torino, perché proceda per calunnia nei confronti di Laura, la donna violentata da Raccuia. Un’ulteriore violenza.
Le scritte al tribunale e alla Croce Rossa sono state rivendicate dal gruppo anarco-femminista “Emma Goldman” con un comunicato pubblicato su Indymedia Barcellona.
Non possiamo non condividerne le conclusioni.
“Stupratori e giudici ci vorrebbero spaventate e piegate, ma la nostra forza è nella solidarietà, nel mutuo appoggio, nella denuncia di violenze e abusi sui muri della città, nei posti dove viviamo, dove lavoriamo, dove studiamo, dove camminiamo, dove ci divertiamo.
Impariamo a riconoscerci, per lottare insieme contro chi ci vuole vittime e indifese.
Non lo siamo. Abbiamo imparato ad autodifenderci. Le nostre vite valgono.”
Come altre volte la sentenza di assoluzione di uno stupratore poteva restare un trafiletto in cronaca. Le scritte al tribunale hanno rotto il silenzio, dando un segnale forte e chiaro alla giudice Minucci e all’intero apparato giudiziario di Torino.
La sacralità del tribunale è stata infranta: per questa ragione sono scattate perquisizioni e sequestri per qualche scritta su un muro.
In piena sintonia con il “nuovo corso” inaugurato dal governo Gentiloni con le leggi sulla sicurezza urbana.
Il PM Rinaudo ci accusa di imbrattamento e diffamazione. Nel decreto di perquisizione si legge che siamo stati scelti perché anarchici attivi nella rete femminista Non Una di Meno.
Inutile negarlo. Siamo anarchici, anarchiche, femminist*.
Quelle scritte, chiunque le abbia tracciate sul muro, le ha fatte anche a nome nostro.
I compagni e le compagne della Federazione Anarchica Torinese
fai_to@inrete.it
www.anarresinfo.noblogs.org
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Perquisizioni a Torino
Nei tribunali la solidarietà è sotto indagine, lo stupro è assolto
Nelle primissime ore di sabato 13 maggio, in piena notte, sono state perquisite le abitazioni di due compagne e due compagni della Federazione Anarchica Torinese. La DIGOS di Torino ha eseguito le perquisizioni per ordine del PM Rinaudo nel quadro di indagini riguardo a delle scritte. Sono stati sequestrati telefoni, computer e abiti. Le scritte in questione erano apparse alcune settimane fa di fronte al Tribunale del capoluogo piemontese per denunciare l’ennesima sentenza a protezione del patriarcato e dello stupro, sentenza attorno alla quale si era creata una forte opposizione da parte di ampi settori femministi. Un’opposizione che ha avuto il suo momento di massima visibilità nelle manifestazioni convocate lo scorso 12 aprile dal movimento Non Una Di Meno di fronte ai tribunali di tutto il paese.
La Commissione di Corrispondenza, certa di esprimere la posizione dell’intera Federazione, denuncia la gravità di questi provvedimenti e manifesta massima solidarietà verso la Federazione Anarchica Torinese ed in particolare verso le compagne ed i compagni perquisiti.
Le perquisizioni della scorsa notte sono in linea con la politica autoritaria del governo, che con i recenti decreti firmati dai ministri Minniti e Orlando inasprisce la repressione non solo nei confronti del movimento anarchico e di altre forze antagoniste o rivoluzionarie, ma anche contro ogni forma di dissenso e più in generale contro tutti gli sfruttati, sui luoghi di lavoro come nelle strade e nelle stazioni. In questo contesto risulta ancora più evidente il carattere intimidatorio e persecutorio di quattro perquisizioni domiciliari per un’indagine riguardante delle semplici scritte.
Il comunicato della Federazione Anarchica Torinese su quanto avvenuto parla in modo chiaro:
«Il PM Rinaudo ci accusa di imbrattamento e diffamazione. Nel decreto di perquisizione si legge che siamo stati scelti perché anarchici attivi nella rete femminista Non Una di Meno. Inutile negarlo. Siamo anarchici, anarchiche, femminist*. Quelle scritte, chiunque le abbia tracciate sul muro, le ha fatte anche a nome nostro.»
Infatti la denuncia che esprimono le scritte di Torino è la stessa che molte e molti hanno fatto, identificando in quella sentenza un esempio di come i tribunali perpetuino la violenza sulle donne e il sessismo, difendendo le strutture patriarcali della società.
La Commissione di Corrispondenza si pone al fianco delle compagne e dei compagni di Torino che stanno continuando la propria attività, la Federazione Anarchica Italiana è unita di fronte alla repressione e respinge ogni intimidazione nei confronti dei propri membri.
La Procura di Torino mira a colpire le anarchiche e gli anarchici per il loro impegno coerente nei movimenti, per a loro lotta quotidiana per la liberazione sociale, contro lo sfruttamento e l’oppressione. Ma tentano anche di intimidire l’insieme ampio e variegato di realtà che hanno dato vita negli ultimi mesi a iniziative, azioni e manifestazioni, riuscendo a dare nuova centralità alla questione femminista e di genere.
Queste perquisizioni dimostrano ancora una volta da quale parte stia la giustizia. Certo non nei palazzi dei tribunali, dove si emettono sentenze che proteggono gli stupratori e si indaga su chi protesta contro tali verdetti. Le anarchiche e gli anarchici saranno sempre al fianco di chi lotta per la   giustizia sociale e per la libertà, contro la violenza e il patriarcato.
Commissione di Corrispondenza della Federazione Anarchica Italiana
15 maggio 2017
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Solidarietà alle compagne e ai compagni di Torino!

La Federazione Anarchica livrnese esprime la propria solidarietà alle compagne e ai compagni colpiti dall’ennesimo sopruso poliziesco.
Nella notte fra il 12 e il 13 maggio u.s., a Torino, la DIGOS ha perquisito le abitazione di quattro compagne e compagni, sequestrando abiti, cellulari e computer.
Il PM Rinaudo, nel decreto di perquisizione, li accusa di imbrattamento e diffamazione, perché anarchici attivi nella rete “Non una di meno”.
Alla fine di marzo sono apparse sui muri di Torino scritte in solidarietà con una donna stuprata e di protesta nei confronti della sentenza del tribunale, che assolveva lo stupratore, mentre il 12 aprile in tutta Italia, sostenute dalla rete nazionale “Non una di Meno”, si svolgevano iniziative di solidarietà e di denuncia davanti ai tribunali, una delle quali anche a Livorno.
Mentre gli stupratori vengono assolti, polizia e magistratura continuano a perseguitare le donne stuprate e chi sostiene le loro ragioni.
Chiunque abbia tracciato quelle scritte, esse esprimono la voce del movimento riguardo agli stupratori e su chi li protegge.
A dispetto di perquisizioni e sequestri, a dispetto della repressione, siamo a fianco di chi lotta contro il patriarcato e la violenza, per la verità e la libertà.

La Commissione di Corrispondenza

della Federazione Anarchica Livornese

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Venerdì notte il pm Rinaudo di Torino ha ordinato perquisizioni e sequestro di cellulari e pc di alcuni esponenti della Federazione Anarchica torinese partecipanti alla rete Non Una di Meno, per le scritte comparse un mese fa davanti al Tribunale di Torino contro la giudice Diamante Minucci e sulla sede della Croce Rossa contro Massimo Raccuia.
L’accusa  è di imbrattamento e diffamazione.
Non ci interessa chi abbia fatto quello scritte, ma ciò che ci preme in questa vicenda è puntare l’attenzione sull’assurdità di un’operazione repressiva volta a punire e criminalizzare chi ha scritto sui muri ciò che di fatto abbiamo, non solo pensato, ma anche gridato in molte e molti nelle piazze l’indomani della sentenza.
Massimo Raccuia è uno stupratore e la Giudice Diamante Minucci ha difeso, protetto e assolto uno stupratore.
Non è diffamazione, è la verità.
Una verità che non è stata stabilita e fissata nelle aule di un tribunale, ma la verità che ha cercato in tutti i modi di raccontare Laura: l’unica verità che per noi conta e ha valore.
Evidentemente i giudici e i tribunali di questo paese sono considerati intoccabili come se fossero portatori di verità assolute e inconfutabili. Non possono essere criticati e messi in discussione, pena la denuncia di diffamazione, la stessa che rischia di dover affrontare Laura dal momento che ha accusato di stupro un uomo che il tribunale ha decretato essere innocente.
La Giudice Diamante Minucci, a capo della prima sezione penale del Tribunale di Torino, non deve aver gradito il clamore delle piazze e delle manifestazioni che l’hanno individuata come responsabile non solo di una sentenza assurda, ma di un giudizio inaccettabile su una donna che ha subito violenza.
Raccuia è stato assolto perchè Laura non ha urlato, non si è fatta massacrare di botte, non aveva segni visibili sul corpo delle violenze subite. Come se la reazione possa misurare la veridicità della violenza agita. Non è solo il buon senso a suggerircelo, ma anche l’esperienza diretta di qualunque donna abbia subito violenza: non tutte le donne reagiscono allo stesso modo di fronte a una violenza.
Ma per la giudice Diamante Minucci non sono bastati il buon senso e l’esperienza diretta della donna.
Laura non ha urlato, non ha reagito come avrebbe dovuto, quindi era consenziente. Come se il consenso si misurasse in decibel o sempre e comunque attraverso comportamenti manifesti.
Non è la prima volta che una donna che ha subito violenza al momento del giudizio nel confronti dello stupratore si ritrova giudicata e da parte lesa diventa imputata lei stessa. Sentenze che, assolvendo gli stupratori, non soltanto violano la donna una seconda volta, ma la mettono pure nella condizione di doversi difendere, di vedere la propria vita scandagliata, peggio,  di dover subire diagnosi psichiatriche volte a screditarla, come se si fosse inventata tutto o se la fosse in qualche modo cercata.
Poiché la casta degli intoccabili è stata criticata e attaccata, la questura si è mobilitata in sua difesa, arrivando a perquisire, denunciare e sequestrare materiali per due banali scritte sui muri.
Come NonUnaDiMeno, il 12 aprile abbiamo organizzato presidi e azioni davanti ai tribunali di diverse città in solidarietà a Laura e per denunciare la violenza che le donne subiscono durante i processi per stupro, che spesso le vedono diventare imputate a loro volta.
Di nuovo vogliamo ribadire che la solidarietà non si processa e che se toccano una toccano tutte!!!
Esprimiamo tutta la nostra solidarietà alle compagne e ai compagni coinvolti nell’indagine della questura torinese, che insieme a noi hanno manifestato per le vie della città e fuori dal tribunale la nostra solidarietà a Laura e la nostra indignazione nei confronti della sentenza della Giudice Minucci.
NON UNA DI MENO TORINO
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Contro ogni sessismo – Solidarietà alle compagne torinesi!
                              
Nella notte fra il 12 e il 13 maggio, le case di quattro compagne torinesi sono state perquisite e numerosi oggetti personali sottoposti a sequestro.
La causa sono alcune scritte apparse fuori dal tribunale di Torino: “La giudice Minucci protegge chi stupra” e “Raccuia stupratore”.
Infatti, a monte c’è la decisione da parte della magistrata Minuccia di scagionare uno stupratore utilizzando motivazioni pressochè assurde: la vittima dello stupro, Laura (nome inventato), non avrebbe urlato abbastanza e non si sarebbe fatta picchiare abbastanza, pertanto in realtà era consenziente.
Questo ha scatenato la giusta reazione da parte di realtà femministe che hanno semplicemente ribadito la verità: in un caso di stupro, non è la stuprata a dover essere accusata, ma il carnefice.
Ma per lo Stato e i suoi galoppini, ogni cosa è buona solo per presentarsi con la faccia pulita: i percorsi femministi vengono riproposti dai giornali in maniera edulcorata, così che il governo possa nascondere sotto il tappeto la cultura patriarcale e sessista, la costante violenza  istituzionale e la visione della donna ereditata direttamente dal fascismo.
Infatti mentre si parla di “governi delle pari opportunità”, vengono tagliate le risorse alle strutture anti-violenza, vengono ristretti il diritto all’aborto e l’accesso ai contraccettivi, viene precarizzato il lavoro (cosa che colpisce ancor più duramente le lavoratrici) e vengono fatte scomparire le soggettività trans, queer e migranti.
L’autore materiale della stretta repressiva che ha colpito le compagne è il PM Rinaudo, già famoso per le deliranti campagne giudiziare contro il movimento NoTav, come per ribadire che quando la casta della magistratura viene svergognata, sono i peggiori di loro a scendere in campo.
La lotta femminista ci unisce tutte, attraversando e intersecando le lotte antirazziste, ecologiche, antifasciste e così via, perché solo con l’emancipazione di tutte potrà esserci l’emancipazione di tutta l’umanità.
Circolo Anarchico Berneri

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