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Nonunadimeno

Nonunadimeno

Vi erano molte aspettative e anche molte paure riguardo alla riuscita o meno della manifestazione nazionale di Nonunadimeno sabato 25 novembre a Roma in occasione della giornata internazionale contro la violenza sulle donne. Vi era, soprattutto, la paura di contarsi dopo la grande riuscita della manifestazione dello scorso anno che aveva visto un successo assolutamente insperato (c’è chi dice bel oltre le centomila persone anche se stime più prudenti dicono cinquantamila). Del resto vi era la necessità di verificare la tenuta del movimento che, dopo lo scorso anno, ha visto un moltiplicarsi di assemblee territoriali che hanno dato vita al significativo sciopero generale dell’8 marzo con cortei molto partecipati in decine di città, ma ha anche registrato una successiva crisi di alcuni nodi locali e una partecipazione calante (seppur sempre di massa) alle assemblee nazionali successive.
Ad una prima visione del concentramento in piazza Esedra le previsioni più fosche sembravano realizzarsi: alle 14 poche migliaia erano le persone presenti, seppure in un clima festoso. Ed invece dopo la partenza la manifestazione si è ingrossata di minuto in minuto fino a registrare alcune decine di migliaia di partecipanti. Dal punto di vista dei numeri quindi un corteo assolutamente significativo, seppure inferiore a quello dello scorso anno. Le ragioni in questo calo vi sono e sono tutte politiche. Mentre lo scorso anno, agli albori del movimento di Nudm qui in italia, la manifestazione aveva un carattere più generico e

indefinito di semplice denuncia della violenza contro le donne quest’anno il corteo aveva le idee ben chiare ed era attraversato da una determinazione e radicalità maggiori. Le parole d’ordine dell’autodifesa da stupri e molestie, della volontà di radicale autodeterminazione dei propri corpi, dell’autoorganizzazione dei percorsi di lotta erano diffuse, trasversali e assolutamente maggioritarie. Anche nella parte iniziale del corteo, dove si trovavano i centri antiviolenza e la rete Dire (donne in rete contro la violenza), ovvero la parte più moderata del movimento, si levavano spesso cori come “Né dio, né stato, nè patriarcato”. E’ chiaro che questa radicalità, nonché la volontà di non farsi imbrigliare da cappelli politici di qualsiasi tipo ha fatto sì che molte aree moderate, in particolare la Cgil, aldilà di un’adesione formale, non siano di fatto state presenti a differenza dello scorso anno. Altra grande assente quest’anno è stata la parte dei collettivi che si riconoscono nel femminismo della differenza, e i cui percorsi si sono ormai nettamente distanziati da quello di Nudm che porta avanti invece un percorso chiaro di transfemminismo e di intersezionalità delle lotte. La stragrande maggioranza del corteo era composto da realtà di base, collettivi, associazioni, spazi sociali di donne, uomini e persone lgbtqia che lottano quotidianamente contro la violenza di genere e contro il patriarcato. Assolutamente minoritari gli spezzoni di realtà politiche specifiche, praticamente assenti partiti e sindacati (purtroppo compresi quelli di base tranne piccolissime delegazioni). Diffusa lungo tutto il corteo la presenza anarchica, anarcofemminista e anarcoqueer con cartelli (numerose le citazioni di Emma Goldman), striscioni e bandiere. E’ stata una manifestazione molto colorata, determinata e comunicativa, piena di rabbia ma anche di gioia nel ritrovarsi in così tante e tanti. Sicuramente i nodi da affrontare nel prossimo futuro per il movimento sono molti e centrali: da come è stato creato il piano antiviolenza lanciato ufficialmente durante la giornata del 25, all’uso che se ne vorrà fare, dalla struttura organizzativa del movimento al rapporto con le istituzioni. Come sempre nei movimenti di massa vi è una tensione continua fra le aree di movimento che non vogliono dialogare con lo stato e chi invece vi vorrebbe trovare una sponda con cui discutere. Per ora portiamo a casa il ricordo vivo di questa bella manifestazione.
Uno che c’era


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