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Se questo è un ramoscello d'ulivo

Se questo è un ramoscello d'ulivo

L’operazione “ramoscello d’ulivo” è stata avviata il 20 gennaio scorso dall’esercito turco su ordine del governo di Ankara per invadere la città ed il cantone di Afrin, allo scopo di sferrare un duro colpo contro l’esperienza di trasformazione sociale che in questi anni si è sviluppata nella Federazione del Rojava. Questa operazione militare è inserita nella più vasta guerra condotta dal governo turco, sia all’interno sia all’esterno dei confini del proprio Stato, contro la sinistra rivoluzionaria e contro ogni spinta popolare per la libertà. Per comprendere la portata degli eventi di questi giorni, va considerato come negli ultimi cinque anni si è strutturato l’impegno controrivoluzionario dello Stato turco e del blocco di potere del partito AKP che guida il paese.

Da quando nel 2002 Recep Tayyip Erdoğan e il suo partito AKP sono saliti al governo, in Turchia si è andato consolidando un blocco di potere che ha cercato in ogni modo di mantenere le posizioni conquistate e di costruire le condizioni per mantenersi alla guida del paese. Si tratta di un processo che ha attraversato differenti fasi, nel corso del quale vi sono stati non pochi momenti di forte conflittualità e crisi in cui il processo di consolidamento del potere dell’AKP ha rischiato di essere interrotto. Nel 2013 con la rivolta popolare di giugno contro l’autoritarismo del governo originatasi dai fatti di Gezi Park che rischia di far vacillare il potere di Erdoğan inizia una fase di inasprimento delle misure repressive e di controllo. L’anno successivo il governo turco interrompe il processo di pace in atto col PKK per intervenire contro l’esperienza di liberazione e trasformazione sociale in atto in Rojava – il Kurdistan occidentale in territorio siriano. Questa esperienza minacciava di estendersi anche nel territorio turco, dove le organizzazioni curde, la sinistra rivoluzionaria, i gruppi anarchici, socialisti e marxisti-leninisti avevano individuato nella campagna di sostegno al Rojava la strada per estendere oltre il confine la spinta rivoluzionaria. All’inizio dell’ottobre del 2014, in uno dei più tragici momenti dell’assedio di Kobanê, era esplosa l’insurrezione in tutta la regione curda in territorio turco contro il sostegno dato dallo Stato turco alle truppe dello Stato Islamico, che attaccavano la città difesa dalle YPG/YPJ. La solidarietà internazionale, ma ancora di più l’attività condotta da migliaia di persone dal territorio turco nelle città e nei villaggi lungo il confine, ha permesso che l’esercito turco non potesse chiudere a nord la città di Kobanê, isolandola definitivamente durante l’assedio. È stata l’attività nel Bakûr, il Kurdistan del nord in territorio turco, a permettere che la resistenza potesse vincere a Kobanê e in Rojava.

Dopo questa fase, nel luglio 2015, il governo turco riporta ufficialmente la guerra entro i propri confini. Il 20 luglio di quell’anno a Suruç, delle bombe di stato uccidono 32 giovani rivoluzionari, tra cui due anarchici. Le bombe esplodono durante la conferenza stampa della Federazione delle Associazioni dei Giovani Socialisti (SGDF), in cui l’organizzazione annunciava l’invio di una delegazione a Kobanê per partecipare alla ricostruzione. Il governo utilizza questi eventi per lanciare una feroce offensiva contro il movimento curdo, contro ogni opposizione e contro le minoranze: in breve tempo viene imposto lo stato d’emergenza in tutto il Bakûr. Per un anno il governo ha condotto una guerra entro i propri confini, con l’imposizione della legge marziale nelle regioni sud-orientali, massacri, bombardamenti, omicidi politici, torture e atrocità commesse dalle forze di sicurezza dello Stato turco. Nel luglio 2016 dal tentato colpo di stato militare, espressione di una lotta per il potere interna allo Stato ed ai suoi apparati, il potere di Erdoğan, divenuto campione di democrazia, ne è uscito rafforzato. Egli infatti ha potuto eliminare i propri nemici e dotare il governo di poteri repressivi di fatto illimitati grazie all’imposizione dello stato d’emergenza in tutta la Turchia.

Il governo ha utilizzato questi strumenti innanzitutto per colpire gruppi di potere rivali, mettendo in atto una risoluzione di conti interna allo Stato stesso, ma ha anche proceduto a massicce epurazioni negli apparati dello stato e nei servizi pubblici. Oltre 140.000 persone sono state licenziate nel settore pubblico, per allontanare da queste posizioni possibili oppositori di qualsiasi schieramento e per “liberare” posti di lavoro per i suoi fedelissimi. Lo stato di emergenza ha inoltre permesso di imporre durissime restrizioni sulla libertà di manifestazione, di espressione e di associazione, permettendo al governo di intervenire anche sul piano legislativo. In questo contesto l’opposizione sociale e rivoluzionaria si trova schiacciata dallo stato di emergenza che impone repressione e paura. I governatori delle città, funzionari che corrispondono ai nostri prefetti, hanno il potere di chiudere locali, vietare vie o piazze, bandire comportamenti pubblici. Anche il movimento anarchico è duramente colpito in questo contesto, alcuni compagni sono incarcerati, il mensile anarchico Meydan è stato colpito con pesanti incriminazioni nei confronti dei redattori e dei responsabili, tuttavia sotto la continua minaccia della repressione da parte delle autorità, l’attività di alcuni gruppi, in particolare del DAF, continua.

Un esempio della situazione di questi ultimi due anni è la lotta degli insegnanti Nuriye Gulmen e Semih Ozakca, licenziati dopo il colpo di stato del luglio 2016 perché accusati di far parte del movimento Hizmet di Fethullah Gülen. Dopo il licenziamento erano entrati per protesta in sciopero della fame in una piazza di Ankara, rendendo visibile a livello nazionale e internazionale con la propria protesta la situazione di tutte e tutti coloro che sono stati licenziati dal settore pubblico per le epurazioni del governo. In Turchia la solidarietà e il sostegno allo sciopero della fame di Nuriye e Semih erano diventati un modo per esprimere opposizione al governo: con la loro lotta i due insegnanti avevano di fatto aperto uno spazio di espressione nel dibattito pubblico e per questo sono stati accusati di sostenere il gruppo marxista-leninista DHKC-P, fuorilegge in Turchia. Al contempo state vietate le manifestazioni in sostegno di Nuriye e Semih, sono state vietate riunioni pubbliche e raduni di ogni tipo nei luoghi simbolici della protesta, alcuni luoghi, come la statua della piazza dove Nuriye e Semih avevano iniziato lo sciopero, sono stati vietati in toto e sono stati recintati. Sono stati vietati balli tradizionali e canzoni rivoluzionarie e addirittura è stato anche vietato l’uso dei nomi di Nuriye e Semih in proteste, riunioni e pubblicazioni.

Altro obiettivo delle leggi speciali è eliminare la conflittualità operaia in fabbrica e in genere quella sui posti di lavoro. Da quando è entrato in vigore lo stato d’emergenza è stato cancellato di fatto il diritto di sciopero: sia attraverso lo stato d’emergenza che pone una fortissima restrizione su di esso, sia grazie ai maggiori poteri conferiti al governo ed alle autorità in genere che sono dunque potuti intervenire direttamente. Inoltre il governo sta cercando di imporre enti privati che, sostituendosi ai sindacati ed allo stato, sarebbero incaricati della “mediazione” tra lavoratori e datori di lavoro per difendere gli interessi padronali e creare una nuova struttura di potere.

La guerra della Turchia ad Afrin degli ultimi mesi ha reso ancora più difficile la situazione in Turchia. Il governo con questa guerra ha ottenuto i consensi di tutta quella parte nazionalista della società turca che, pur non sostenendo l’AKP, riconosce nella lotUn esempio della situazione di questi ultimi due anni è la lotta degli insegnanti Nuriye Gulmen e Semih Ozakca, licenziati dopo il colpo di stato del luglio 2016 perché accusati di far parte del movimento Hizmet di Fethullah Gülen. Dopo il licenziamento erano entrati per protesta in sciopero della fame in una piazza di Ankara, rendendo visibile a livello nazionale e internazionale con la propria protesta la situazione di tutte e tutti coloro che sono stati licenziati dal settore pubblico per le epurazioni del governo. In Turchia la solidarietà e il sostegno allo sciopero della fame di Nuriye e Semih erano diventati un modo per esprimere opposizione al governo: con la loro lotta i due insegnanti avevano di fatto aperto uno spazio di espressione nel dibattito pubblico e per questo sono stati accusati di sostenere il gruppo marxista-leninista DHKC-P, fuorilegge in Turchia. Al contempo state vietate le manifestazioni in sostegno di Nuriye e Semih, sono state vietate riunioni pubbliche e raduni di ogni tipo nei luoghi simbolici della protesta, alcuni luoghi, come la statua della piazza dove Nuriye e Semih avevano iniziato lo sciopero, sono stati vietati in toto e sono stati recintati. Sono stati vietati balli tradizionali e canzoni rivoluzionarie e addirittura è stato anche vietato l’uso dei nomi di Nuriye e Semih in proteste, riunioni e pubblicazioni.ta contro i curdi e contro il “terrorismo”, così come nell’invasione del territorio siriano, una politica che può rafforzare la Turchia e renderla più sicura. In questo contesto, dopo un processo di avvicinamento durato alcuni anni, è stato concluso in febbraio un accordo definitivo di alleanza per le elezioni generali del 2019 tra il partito nazionalista MHP, legato ai lupi grigi, ed il partito AKP.

Si è così creato un nuovo blocco politico nazional-conservatore con un significativo cambiamento dell’ideologia dell’AKP. Quella del partito di Erdoğan fino a qualche anno fa era chiaramente conservatrice-religiosa e neo-ottomana e, quantomeno fino al 2013, puntava a superare il nazionalismo etnico turco, dando alla Turchia un nuovo ruolo internazionale basato a livello ideologico sull’identità religiosa come elemento unificante tra differenti identità etniche e linguistiche. Con questa alleanza l’AKP riconosce ed accetta il nazionalismo etnico. Un passaggio cruciale segnato a livello pubblico dal discorso di Mersin, durante il quale Erdoğan ha annunciato ai propri sostenitori una imminente campagna decisiva, per la quale debbono prepararsi al martirio. Pronunciando il proprio discorso il Presidente della Repubblica Turca Erdoğan ha salutato la folla prima con il gesto di saluto nazionalista dei Lupi Grigi, poi con il gesto religioso Rabia.

Ma non cambia solo l’ideologia dell’AKP: è anche un cambiamento in corso nell’ideologia nazionalista turca – il nazionalismo kemalista cede il passo ad un nuovo nazionalismo, conservatore e religioso. Lo stesso partito CHP, che rappresenta l’opposizione laica, nazionalista, kemalista ed autoritaria al blocco di potere dell’AKP, storicamente legato ai settori militari, con la guerra ad Afrin si è di fatto allineato al governo per sostenere il “glorioso esercito turco”, spostando la propria attività di opposizione su un livello meramente formale.

Nel giorno in cui scrivo [18/03/18], Erdoğan annuncia a Çanakkale durante la commemorazione della battaglia di Gallipoli che le forze sostenute dalla Turchia avrebbero preso il controllo di Afrin. In realtà la resistenza nella città e nel cantone di Afrin continua mentre l’esercito turco ed i suoi alleati avanzano uccidendo civili. Ad ogni modo ha un particolare significato che questo annuncio venga fatto da Erdoğan proprio in occasione della battaglia in cui nel 1915 l’esercito ottomano vinse contro quelli francese e britannico, un avvenimento che negli anni successivi sarà consacrato come evento fondativo della nuova Turchia kemalista. Ciò significa che Erdoğan vuole conferire a questa guerra o stesso significato sacro e fondativo, significa che con la guerra ad Afrin e al Rojava lo Stato turco e le potenze mondiali o locali impegnate nella regione vogliono fondare un nuovo ordine, quello del dominio dello Stato e del capitale, e vogliono seppellire ogni speranza rivoluzionaria.

Dario Antonelli


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