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Continuare la lotta

Continuare la lotta

Il movimento delle insegnanti diplomate magistrali contro la sentenza del consiglio di stato che a dicembre ha negato loro il diritto all’inserimento nelle graduatorie ad esaurimento (GAE) e all’immissione in ruolo è in campo da ormai circa cinque mesi e mezzo, e ha dato vita a cinque scioperi dal primo dell’8 gennaio al più recente il 29 maggio 2018, e a un numero rilevantissimo di manifestazioni, presidi, flash mob, assemblee, incontri con le istituzioni.

Alcuni cenni di preistoria contemporanea

La vicenda delle diplomate magistrali ha radici non recenti; molto schematicamente: una riforma dei titoli di accesso all’insegnamento ha stabilito che, a partire dall’anno scolastico 2001/2002, il cosiddetto titolo di accesso per poter insegnare nella primaria e nell’infanzia non è più il tradizionale diploma magistrale ma la laurea in scienze della formazione primaria.

Da allora ad oggi, però, le diplomate magistrali sono state utilizzate come precarie chiamate dalle graduatorie di istituto per garantire il funzionamento delle scuole con l’effetto di essere, contemporaneamente, necessarie alla tenuta delle attività scolastiche ed escluse dall’assunzione a tempo indeterminato.

I vari governi di ogni colore che si sono succeduti in questi anni hanno serenamente lasciato marcire la situazione non prevedendo una soluzione che garantisse queste lavoratrici e altrettanto hanno fatto i sindacati istituzionali che consideravano le diplomate magistrali una sorta di ramo morto dell’evoluzione.

In questo vuoto si sono sviluppate pratiche di natura parzialmente diversa, per un verso una massa imponente di ricorsi organizzati da diversi sindacati, come vedremo soprattutto anche se non solo dall’ANIEF e, per l’altro, mobilitazioni locali e generali per il riconoscimento del valore abilitante del diploma magistrale.

In sintesi, la politica e il sindacalismo istituzionali hanno lasciato che la partita delle diplomate magistrali fosse gestita dalla magistratura che si è pronunciata in maniera sovente contraddittoria.

Sempre in estrema sintesi, nel 2015, il Consiglio di Stato si è espresso riconoscendo il valore abilitante con l’effetto che vi sono state alcune miglia di assunzioni in ruolo ed alcune decine di migliaia di immissioni nelle GAE e che è parso che la vertenza fosse giunta alla fine.

Al contrario, nel dicembre 2017, una sentenza della riunione plenaria dello stesso Consiglio di Stato ha rovesciato l’orientamento escludendo le diplomate magistrali dalla GAE e dal ruolo. Da questo coup de théâtre prende le mosse la mobilitazione della quale ragioniamo.

Su alcuni caratteri del movimento

Nei fatti, nonostante quest’anno la scuola abbia visto la firma di un contratto pessimo da parte dei sindacati istituzionali, si è trattato dell’unica manifestazione importante di dissenso rispetto alla situazione. Una mobilitazione che ha coinvolto direttamente alcune decine di migliaia di insegnanti delle scuole primarie e dell’infanzia e che però ha visto il sostegno di molte insegnanti solidali soprattutto, ma non solo, della primaria, di gruppi di genitori, di settori dell’opinione pubblica e, visto che si era in periodo elettorale, l’attenzione soprattutto dell’opposizione.

Può essere, a questo proposito, opportuno leggere un brano di una lettera di qualche mese addietro di una collega, mia compagna di sindacato e attenta osservatrice dei fatti sociali.

Ora la domanda è: riusciremo a passare dal particolare al generale? Quali sono le idee e gli atti che possono favorire tale passaggio? Scrivo questo, anche a mo’ di sfogo, perché i nostri colleghi sono spesso pronti a difendere il guicciardiniano “particulare” mentre se ne fregano del piano generale (ad iniziare dallo scandaloso blocco contrattuale, ad iniziare dall’innalzamento inaccettabile dell’età pensionistica, ad iniziare dal fatto che in molte scuole italiane il lavoro del docente si riduce a mera sorveglianza).”

Effettivamente la lotta delle diplomate magistrali sembra un caso perfetto di “particulare”: un gruppo consistente di lavoratrici, soprattutto, e di lavoratori, viene colpito nei suoi diritti, nel reddito, e nelle aspettative per quel che riguarda la loro vita.

Di fronte a una situazione gravissima e non riconoscendosi completamente in alcuna rappresentanza politica e/o sindacale, tale movimento si autorganizza – nelle forme sovente confuse e complesse dell’autorganizzazione, utilizzando strumenti di varia natura dalla mobilitazione diretta alle liste WhatsApp – e difende con la mobilitazione diretta, con la pressione sulle istituzioni, con l’informazione diffusa attraverso mille canali, i “propri” interessi.

E’ insomma quello che ogni fesso, in particolare ogni fesso di sinistra, si affretta a definire corporativismo o micro-corporativismo, guardando alle forme particolari ed agli obiettivi immediati della lotta e non al suo essere un processo vitale attraverso cui un soggetto collettivo si autocostituisce, produce cultura, linguaggio, identità.

A questo proposito, mi permetto un paragone che potrà sembrare un po’ forte: se pensiamo allo sviluppo del movimento femminista negli anni 70, si può affermare che il mito fondativo, il nucleo caldo che ne faceva la forza si poteva riassumere nella frase “donna è bello!”, come potente rovesciamento di un pregiudizio sociale sedimentato nel tempo.

Ebbene, fatte le dovute proporzioni, dal punto di vista comunicativo, la frase “la maestra non si tocca!” è una rivendicazione altrettanto forte del carattere positivo e del valore di un ruolo sociale.

Nel farsi del movimento, che ha ovviamente al centro rivendicazioni di sicurezza del posto di lavoro e di reddito, è quindi fondamentale l’altrettanto importante rivendicazione della dignità e dell’importanza del proprio lavoro e dello specifico percorso formativo che lo caratterizza.

Un altro aspetto assolutamente evidente è che si tratta di un movimento di donne, la cui leadership reale, quella che sta sul campo, costruisce relazioni, socializza competenze, è fatta, appunto, da donne.

Movimento e organizzazione

Sarebbe una naiveté evidente sottovalutare il ruolo dei soggetti sindacali e parasindacali in campo, sia come avversari o sostenitori untuosi (CGIL, CISL, UIL, SNALS, GILDA) sia come strutture organizzate in relazione col movimento.

Da questo punto di vista, abbastanza velocemente si sono definiti due poli in problematica relazione fra di loro e con alcune zone di sovrapposizione.

Da una parte, e in primo luogo l’Anief che, anche grazie al numero rilevantissimo delle insegnanti diplomate magistrali iscritte a questo sindacato, sulla base dei ricorsi che ha organizzato negli ultimi anni, ha svolto un innegabile ruolo nella mobilitazione.

Con caratteristiche invece radicalmente diverse, anche se vi sono stati momenti di inevitabile confluenza nelle stesse iniziative, il sindacalismo di base (in primo luogo la Cub Scuola ma anche, indubbiamente, i Cobas) ha svolto un ruolo di organizzazione delle mobilitazione e delle lotte grazie, non alle risorse economiche, ma alla classica maggior disponibilità alla militanza.

Soprattutto, però, si è sviluppata una reted coordinamenti di base in dialettica relazione con le organizzazioni sindacali, ma caratterizzata dalla rivendicazione della propria autonomia, che ha visto il formarsi di nuove leadership.

Non vanno sottovalutate poi l’esistenza di relazioni con forze parlamentari interessate, come sempre capita in situazioni di questa fatta, al consistente pacchetto di voti rappresentato dalle diplomate magistrali e la difficoltà a frenare, nello stesso movimento, derive clientelari o peggio sia verso la destra sia verso il M5S.

Una, assai provvisoria, conclusione

Nel momento in cui stendo queste note si è appena svolto il quinto sciopero e presidio a Roma delle maestre diplomate magistrali.

In questi mesi il movimento si è trovato di fronte ad un muro di gomma da parte del MIUR e delle sue articolazione territoriali che rimandavano al governo in fieri, all’ostilità o almeno all’indifferenza dei sindacati istituzionali, alle tensioni interne fra i diversi segmenti che lo animano. Pure ha tenuto, si è dato strumenti di confronto, ha accumulato esperienze.

Ovviamente, è un movimento incentrato su un obiettivo, destinato a chiudere il suo ciclo vitale o, auspicabilmente, con la vittoria o, e si tratta di impedirlo, con la sconfitta.

E’ però anche un laboratorio, un luogo di azione e sperimentazione, un tassello dell’attuale certo non maggioritaria opposizione sociale che va sostenuto con l’azione.

Con la nascita del governo giallo verde siamo ad un passaggio nuovo ed importante, infatti sia la Lega che il M5S si sono impegnati a trovare una soluzione alla situazione drammatica delle insegnanti diplomate magistrali.

Si tratta, di conseguenza, di rilanciare l’iniziativa non certo nella logica della lobby che chiede qualcosa alla rappresentanza politica, ma in quella di u movimento che incalza la controparte.

D’altro canto, e non è certo un mistero, per noi, compito del sindacalismo di base è proprio quello di essere strumento dell’autorganizzazione dei lavoratori.

Cosimo Scarinzi


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