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I popoli dei paesi più poveri sono i più minacciati

I popoli dei paesi più poveri sono i più minacciati

I popoli dei paesi più poveri sono i più minacciati, specialmente il popolo dell’Africa subsahariana e dell’Asia meridionale. Secondo un recente rapporto, i cambiamenti climatici avranno conseguenze terribili per l’agricoltura e la salute delle parti povere del mondo: i raccolti delle colture saranno ridotti del 5% entro il 2030. Ciò causerà un aumento dei costi dei prodotti alimentari certamente dannosi per le persone più povere. Disastri naturali, come le inondazioni, diventeranno più frequenti, e varie malattie diventeranno più diffuse nelle zone più povere del mondo.
Va anche sottolineato che il riscaldamento globale è in alcuni casi potenzialmente catastrofico. Entro il 2020, tra i 500 e i 750 milioni di abitanti dei territori tra i più poveri saranno interessati dallo stress idrico causato dai cambiamenti climatici. I paesi con coste basse sono particolarmente minacciati e, tra questi, il Bangladesh è classificato come il paese più vulnerabile al riscaldamento globale. Esso dovrà affrontare, secondole previsioni oggi accreditate, crescenti livelli di precipitazioni e disastri naturali come i cicloni, che non è preparato ad affrontare. Secondo una stima, entro il 2020, il Bangladesh dovrà affrontare una riduzione del 50% nell’agricoltura. L’Asia meridionale, entro il 2020, si troverà ad affrontare un calo del 10% in colture di base come riso e mais. Paesi come il Pakistan potrebbero affrontare una riduzione del 50% di questi beni di prima necessità entro il 2020. L’impatto sulla sicurezza alimentare in Bangladesh e in altri paesi sarà catastrofico se le stime si riveleranno corrette.
Il cambiamento climatico e il riscaldamento globale sono così potenzialmente minacciosi che anche i capitalisti della Banca mondiale e altre istituzioni globali ne hanno preso atto. il riscaldamento globale è infatti una minaccia che non può essere ignorata anche per l’intero sistema capitalista. Tuttavia, i dirigenti dell’Impero non sono in grado di affrontare il problema in modo serio, perché farlo richiederebbe un cambiamento rivoluzionario nella struttura globale delle classi. L’economia globale è organizzata in modo tale che i paesi più poveri subiscano i peggiori effetti della produzione capitalistica. Le popolazioni dei paesi più poveri sono schiavizzate e vivono con salari minimi tarati su soglie di mera e infima sopravvivenza, e a volte al di sotto di esse, producendo merci che raramente consumano.
Le popolazioni dei paesi più poveri soffrono più di altre gli effetti di ambienti tossici e catastrofi “naturali” che sono il risultato della produzione capitalista. Allo stesso tempo, sono i paesi ricchi che raccolgono i benefici della moderna cultura del consumo, vivendo in relativa comodità e stabilità.
È interessante notare che un recente sondaggio ha mostrato che la preoccupazione per i cambiamenti climatici riflette la struttura globale delle classi. I paesi più poveri, con l’Africa e l’America Latina a capo del gruppo, dicono che il cambiamento climatico rappresenta una “grave preoccupazione”. Al contrario, anche se il cambiamento climatico è riconosciuto come un problema reale dalle istituzioni internazionali dell’Impero, meno della metà delle persone intervistate negli Stati Uniti vedono in esso un problema serio.
Nel Manifesto del partito comunista, Karl Marx affermò pubblicamente:
“La storia di tutte le società finora esistenti è storia fatta dalle lotte di classe.
Uomo libero e schiavo, patrizio e plebeo, signore e servo, maestro di gilda e operaio, in una parola, oppressore e oppresso, erano in costante opposizione l’uno con l’altro, svolgevano una lotta ininterrotta, ora nascosta, ora aperta, una lotta che terminò sempre, o in una ricostruzione rivoluzionaria della società in generale, o nella rovina comune delle classi contendenti. ”
Spesso si dimentica che Marx non considerava la rivoluzione come l’unica possibile conseguenza della lotta di classe. In ogni caso, quest’ultima lascia aperta purtroppo anche un’altra possibilità: la nostra rovina comune. Questa è la realtà che l’umanità affronta. Il capitalismo globale sta spingendo il nostro pianeta, la nostra casa comune, ai suoi limiti. La cultura del consumo e dei rifiuti del mondo capitalista sta spingendo l’ambiente verso un punto di rottura. La maggioranza dell’umanità, i poveri di tutto il mondo, il proletariato soffrono. Una minoranza (i ricchi globali, la borghesia) consuma sempre di più, spreca sempre di più.
Se vogliamo evitare la nostra rovina comune, se deve esserci un futuro per i nostri figli ed i figli dei figli, dobbiamo risvegliarci. Siamo la stragrande maggioranza. Secondo Bakunin la classe operaia non era la forza centrale della rivoluzione. Egli considerava i contadini e i disoccupati urbani, i mendicanti, i piccoli criminali forze rivoluzionarie molto più potenti. La sua ripetuta dichiarazione secondo cui il primo passo in ogni rivoluzione dovrebbe essere gettare “tutti i documenti legali alle fiamme”, e abolire tutte le regolamentazioni pubbliche dei debiti e delle tasse, non era altro che un appello al contadino, per il quale “lo Stato” non è altro che l’indesiderato esattore delle tasse.
Siamo gli unici che possono fermare questa follia. Il tempo sta finendo. Ora è il momento di organizzarci, educarci e innalzare la bandiera del movimento globale dell’ anarco-sindacalismo e della “confederazione democratica senza stato”: rovina o rivoluzione?
tratto da:
http://libcom.org/library/climate-change-bangladesh-risk
Traduzione a cura di Andres


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