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Cucine Senza Confini 2018

Cucine Senza Confini 2018

Quest’anno ho voluto godere fin dall’alba le tre giornate del Convegno “Cucine senza Confini” – organizzato dalle Cucine del Popolo di Massenzatico – e non me ne sono affatto pentita. Le Cucine sono fatte così; non sai se ti diverti di più ad assistere ai laboratori ed alle relazioni o parlare con tutti i compagni e le compagne che sono arrivat* da ogni dove o, non ci crederete ma è così, aiutare nella preparazione ed organizzazione degli eventi e dei vari pasti: cerchiamo però di fare ordine nelle mille attività che si sono susseguite.

L’inaugurazione ufficiale è stata alle 19, grazie alle interessanti relazioni dei giornalisti Armando Torno e Rinaldo Gianola, dove si è fatta una disamina del poco confortante e confortevole livello politico e culturale del Paese con considerazioni riguardanti il mondo dell’editoria, della comunicazione e del giornalismo. Ci saremo certo intristiti se prima non avessimo partecipato ai primi allenamenti orizzontali a base di ciccioli e Lambrusco e, poco dopo, ostriche e bollicine!

Lì ho potuto constatare una delle prime regole delle Cucine – se si mangia bene si pensa bene e, aggiungo, si reagisce meglio. Per cena, la tradizionale gnoccata sociale a base di gnocco fritto e salumi e formaggi locali è stata il giusto preludio alle coinvolgenti note dei Suonatori Libertari Calabresi. I compagni Gerardo Vespucci e Piergiuseppe Maggi ci hanno letteralmente coinvolti – ebbene sì, ho cantato suonato e ballato – con canti sociali e di protesta. Sorpresa non da poco è stato l’uso di strumenti musicali di cui si era quasi persa la memoria, come la lira calabrese ed altri strumenti fatti a mano dallo stesso Piergiuseppe.

Il sabato è iniziato con la vaccinazione antiautoritaria per debellare ogni tipo di malattia di derivazione fascista e razzista, cosa non facile e proprio per questo ci si è affidati alla meticolosa cura dell’insostituibile Cecio e dal gruppo Gli Spavaldi. Abili e vaccinati abbiamo assistito al primo laboratorio irregolare. Luca Federici ha parlato dell’esperienza di Ri-Maflow, fabbrica recuperata a tutt’oggi sotto attacco della politica e del capitale, dove per questa occasione ha portato l’amaro Partigiano. Luigi Rigazzi ci ha poi spiegato il ruolo fondamentale delle frattaglie nella cucina popolare, mentre Arturo Bertoldi con il suo intervento storico/gastronomico sui sottaceti mi ha fatto ricordare il terribile sapore delle uova sottaceto, sempre presenti nei pub inglesi. Per fortuna che il laboratorio prevedeva i mitici sottaceti del Barone che mi hanno fatto passare questo pensier tristo, totalmente dissolto dopo il ricco pranzo dell’operaio curato dal cuoco “ufficiale” delle Cucine del Popolo: il Barone Rosso della Lunigiana coaudiuvato dai suoi aiutanti. Dopo il pranzo è arrivato come un tornado pieno di coriandoli Stefano Raspini, Raspo, con un’esilarante performance sui lumbard e Salvini.

È stato poi il momento del partecipato Convegno di Studi Storici “Cucine Senza Confini” con le relazioni di: Alberto Capatti, “Il Linguaggio delle Cucine del Popolo: Memoria e Immaginazione”; Pietro D’Alessio, “Mangiare Etnico”; Federico Ferretti, “Il Pasto degli Esploratori”; Edy Zarro, “La Cucina che non c’è”; Mauro Balboni, “Il Pianeta Mangiato”; Enrico Voccia, “Saperi e Sapori nell’Ellenismo”; Elisabetta Salvini e Lorena Carrara, “Partigiani a Tavola”; Eliana Bartoli, “La Nostra Tovaglia Rossonera”.

Come sempre Alberto Capatti, grande amico e sostenitore delle Cucine, ha colto nel segno: a suon di ricette bisogna combattere la cucina globale che tenta di omologare i sapori distribuendo gli stessi prodotti ovunque, una cucina che “calcola il tempo con il freezer e misura lo spazio con il packaging”. Per far questo bisogna usare l’immaginazione e la curiosità, arrivando così ad essere attratti dal diverso, ad avere necessità della contaminazione. Tenendo un piede nella tradizione e un’altro nell’esplorazione il cibo diventa così un vero e proprio linguaggio che accomuna i popoli e le loro Cucine. La stessa cucina italiana “tradizionale ed identitaria” non è altro che la rivisitazione di prodotti provenienti da ogni parte del mondo, dagli spaghetti alle patate. Può darsi che le buone pratiche non rallenteranno il genere umano nella sua folle corsa verso la distruzione ma certamente renderà le donne e gli uomini che le praticano delle persone migliori. È con questo spirito che Eliana ha voluto invitare chi da anni segue le Cucine ad aprire anche nei propri territori dei circoli che, attraverso un percorso federativo graduale e armonioso, portino alla creazione di questi preziosi laboratori di felicità, inclusivi e accoglienti. Perché la cucina di fatto non ha confini e non esiste una Cucina con la C maiuscola che si possa imporre sulle altre come la migliore o la più vera e tradizionale. Esistono, come dice il compagno Edy, le donne e gli uomini che cucinano e si nutrono, reinventando sempre cibi e preparazioni, per il piacere proprio e altrui. Cibo come esplorazione, come incontro e come dialogo che unisce comunità sempre in trasformazione e non riesce ad escludere nessuno nemmeno gli inglesi e le loro uova sottaceto.

Ecco è tornato il pensier tristo … è ora di rifarsi con il Veglione Rosso e il suo menù socialista del 1910. Trecento persone hanno mangiato i mitici cappelletti, il bollito e la zuppa inglese tra chiacchiere e risate per finire cantando assieme al Coro Sociale Violenti Piovaschi di Carpi.

Senza accorgersene si è fatta già domenica e per non farci mancare nulla ed aprire lo stomaco alle nuove libagioni ci facciamo coinvolgere dai laboratori irregolari di Stefano Bet la sua “grappa alla macchia” con il suo progetto di distilleria itinerante, Giacomo Della Chiesa e il Pelinkovac a base di assenzio e Stefano Braidi con i suoi ghiaccioli, il vero gelato popolare, al lambrusco. Prima di pranzo Gianmaria Valent e il professor Capati hanno meticolosamente smontato le proibizioni dell’Onu relative al parmigiano reggiano, all’olio extravergine di oliva e al prosciutto crudo, durante il dibattito dal titolo “Cucine del Popolo contro ONU”. Con il pranzo della domenica, che notoriamente è il pasto speciale della settimana, si è messo in tavola quello che era stato pensato condiviso e discusso durante il convegno di sabato, grazie alla comunità sinti e ad un gruppo di ragazzi nigeriani che hanno cucinato i loro piatti tradizionali e non. Subito dopo Giovanni Canzoneri ha letto le sue poesie dedicate ai migranti.

Nel pomeriggio ci si è poi dedicati ad una cosa che ha poco a che fare con la gastronomia tout cour ma ha molto a che vedere con il suo aspetto squisitamente conviviale: Enrico Riot ci ha presentato il fumetto di Alessio Spataro “Biliardino” rivelandoci che il “Futbolín” è stato perfezionato e brevettato proprio durante la Rivoluzione Spagnola, come gioco per consentire anche ai mutilati di guerra di divertirsi in compagnia. Ermanno Bartoli e la sua Macchina Infernale ha chiuso il “programma immaginario” delle Cucine, lasciando spazio ad una “gnoccata propiziatoria” per i convegni a venire e per ritemprarsi da questi giorni che hanno visto andare e venire almeno 700 persone, compagne e compagni e semplici amanti del ben vivere.

Non è la prima volta che le Cucine del Popolo danno la prova che anche eventi così impegnativi possono essere gestiti e coordinati in modo autonomo, senza finanziamenti pubblici e senza fini di lucro; grazie a tutti e tutte le compagne e i compagni che hanno dato una mano perché ci godessimo questa festa, da chi ha pulito gli spazi e le stoviglie, a chi ha preparato da mangiare, a chi ha allestito gli spazi per conferenze ed esibizioni varie. No Master No Chef ma tanta passione ed un forte ideale perché anche attraverso la cucina e la pancia piena si fa la rivoluzione.

Cristina

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