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Salvare lo Zimbabwe

Salvare lo Zimbabwe

Questo articolo non si posiziona soltanto al di fuori dello Stato, ma contro lo Stato, sotto la guida dell’anarchismo come teoria. In questo saggio spero di fornire un’analisi critica dello Zimbabwe e della sua condizione attuale, superando un’analisi semplicistica ed andando oltre una visione politica individuale. Piuttosto, da una prospettiva anarchica, si articolerà attentamente il vero problema nello Zimbabwe: una società governata da un sistema classista, sotto il controllo di uno Stato predatore, che non può sopravvivere un giorno senza sfruttare all’infinito il suo popolo.

Una lettura esaustiva di tale condizione spero possa facilitare l’organizzazione e l’educazione delle masse a una rivoluzione da rivendicare come propria. Una rivoluzione che sia specifica contro tutte le forme di oppressione, e che si fondi sulla lotta quotidiana, volta al miglioramento delle condizioni deplorevoli dello Zimbabwe.

Altrettanto importante è il fatto che questo articolo è scritto in solidarietà con le azioni di massa contro il regime violento, avvenute nel 1° agosto 2018 e di nuovo nel 14 gennaio 2019, in cui si lottava per una società migliore. Ciò incoraggia le attività autonome ed il continuo sviluppo di una consapevolezza rivoluzionaria delle classi popolari: lavoratori e classe operaia, poveri e piccoli contadini.

Contesto Politico

La maggior parte delle analisi da parte dei media sui problemi dello Zimbabwe, incluso il suo Stato fortemente repressivo, individuano le cause sostanzialmente in un piccolo numero di cattive individualità, come il presidente Emmerson Mnangagwa (e il suo predecessore, il presidente Robert Mugabe), generali e capi di polizia dal grilletto facile e la leadership del partito di governo ZANU-PF (Zimbabwe African National Union – Patriotic Front, Unione Nazionale Africana dello Zimbabwe – Fronte Patriottico), che è in carica dal 1980. Ciò induce a ritenere che il problema possa essere risolto grazie a un cambiamento nella classe dirigente dello Stato.

Questo è il motivo per cui la risposta immediata della maggioranza della popolazione al colpo di stato militare del 15 novembre 2017, che ha condotto al potere ed alla presidenza l’ex vicepresidente Mnangagwa ed ha spodestato Mugabe, è stata l’ eccitazione e la speranza. Sebbene si trattasse davvero un colpo di stato da parte di una fazione ZANU-PF contro l’altra, ci si illudeva che un uomo nuovo alla presidenza avrebbe risolto i problemi. Ciò non è avvenuto, spingendo molti a focalizzare il problema sulle modalità incostituzionali con cui Mnangagwa aveva ottenuto la carica, e in seguito nel modo in cui ha consolidato e mantenuto il potere. Ancora una volta, il problema si è posto in termini di comportamento individuale.

Alle elezioni del 2018, dove Mnangagwa era a capo della campagna ZANU-PF, sono seguite proteste diffuse. Il 1° agosto 2018, dopo un processo elettorale duramente contestato e segnato da numerosi abusi, la gente è scesa in piazza. È stata messa in discussione la validità delle elezioni ed è stato respinto lo ZANU-PF, che, come al solito, si è assicurato la “vittoria” alle elezioni con le buone o con le cattive.

Il governo, agendo come per istinto, ha inviato immediatamente l’esercito e la polizia contro civili disarmati, uccidendo almeno sei persone. Come durante il suo colpo di stato, Mnangagwa ha usato i mezzi di coercizione – cioè forze militari, di polizia e repressione carceraria, pilastri dello stato sui quali i cittadini ordinari non detengono alcun controllo – per mantenere quella che è effettivamente una dittatura militare che fa capo allo ZANU-PF.

Per non perdere la faccia con la comunità internazionale, dalla quale ZANU-PF cerca investimenti, prestiti e accordi commerciali, è stata rapidamente lanciata una Commissione d’inchiesta. Questa ha presentato le sue conclusioni l’11 dicembre. Ha scoperto che “proiettili vivi, fruste e calci d’arma da fuoco” erano stati usati contro i manifestanti e che questo “era ingiustificabile”, che lo Stato aveva adottato un uso della forza completamente sproporzionato.[1]

Lo stesso presidente Mnangagwa ha dovuto riferire i risultati in una conferenza stampa ed ha persino preso atto della raccomandazione della Commissione secondo cui una tale repressione non dovrebbe verificarsi mai più.

Contesto Economico

La situazione ha indebolito la legittimità della classe dirigente, che ha oltretutto dovuto fare i conti con un’economia paralizzata, una grave crisi di liquidità, un aumento vertiginoso della disoccupazione al 90%, il crollo completo dell’industria manifatturiera, crisi infrastrutturali, un enorme mercato nero e seri problemi agricoli.

Per rafforzare le entrate del regime il Presidente, il 13 gennaio 2019, ha inoltre raddoppiato il prezzo del carburante, chiedendo ai comuni cittadini di pagare per quello che è diventato così il carburante più costoso al mondo. L’aumento del carburante è stata fondamentalmente una strategia governativa con lo scopo di raccogliere fondi, dato che il 68% dell’incremento è tutta tassazione.
L’annuncio ha innescato una catena di eventi, che sono culminati in un appello a proteste pacifiche e ad un Blocco Nazionale delle attività produttive, ovvero allo sciopero generale, indetto dal rispettato attivista e pastore Evans Mawarire e dal Congresso dei sindacati dello Zimbabwe (ZCTU). Così, a meno di un mese dallo scioccante rapporto della Commissione d’inchiesta sulla repressione post-elettorale e la promessa “mai più” (repressione cruenta), più di 600 cittadini dello Zimbabwe sono stati arrestati senza un giusto processo.

Almeno 15 persone sono state uccise secondo il Forum delle ONG per i diritti umani dello Zimbabwe. Le corti di giustizia sono state segnalati come non conformi, nascondendosi nelle grandi e oscure ombre dello Stato, distruggendo il mito della separazione dei poteri e della riforma democratica sotto Mnangagwa.

Un’ulteriore offensiva repressiva dello stato è stata quella di oscurare totalmente INTERNET, nel tentativo di nascondere la natura corrotta dello Stato e consentire alla classe dirigente di riprenderne il controllo. Ciò a sua volta ha avuto un impatto brutale sui mezzi di sostentamento di milioni di persone, dal momento che oltre l’85% di tutte le transazioni finanziarie nello Zimbabwe, comprese cose semplici come l’acquisto di pane, richiedono l’uso della rete.

Quello che l’AnarcoSindacalismo Aiuta a Spiegare

Il problema dello spiegare la situazione in Zimbabwe come dovuta ad alcuni cattivi leader a capo dello stato è che riduce il problema al comportamento di qualche individuo. Non esamina il sistema che genera leader brutali come Mugabe e Mnangagwa e non può spiegare perché il sistema di base non cambia, di là delle dinamiche personali. Non riesce poi a spiegare perché lo stato dello Zimbabwe non sia cambiato in modo significativo quando il Movimento di opposizione per il cambiamento democratico (MDC) ha vinto le elezioni locali, o con l’ingresso dell’MDC in un governo di unità nazionale con ZANU-PF nel 2009. Come l’organizzazione anarchica specifica Federación Anarquista Uruguaya (Federazione Anarchica Uruguaiana, FAU) ha sottolineato, senza una teoria solida e coerente si corre sempre il rischio “di esaminare ogni problema individualmente, isolatamente, partendo da punti di vista che possono essere diversi in ciascun caso o basati sull’esame della soggettività.”[2]

Pertanto, è essenziale sviluppare una teoria sistematica sullo stato dello Zimbabwe e, nel farlo, svelarne attentamente le implicazioni politiche. Al momento, invece, non c’è un’analisi critica approfondita della situazione in Zimbabwe da parte dei movimenti di protesta, c’è piuttosto una semplice serie di aggiornamenti su ciò che sta accadendo.

Dall’altra parte, c’è un’ampia parte della sinistra a livello internazionale, influenzata dal linguaggio del regime dello Zimbabwe, la quale pensa che questo sia in qualche modo progressista e persino che Mugabe fosse meglio di Mnangagwa. Questa sinistra, anziché basarsi su di un’analisi delle caratteristiche oggettive di quello Stato, si fa influenzare dalle dichiarazioni dei singoli soggetti e resta intrappolata, concentrandosi soltanto sulle singole personalità.

L’anarchismo fornisce un correttivo essenziale per entrambi gli approcci. Rifiuta l’idea che lo Stato sia uno spazio vuoto di potere, che può essere reindirizzato verso fini buoni o cattivi semplicemente cambiando chi occupa i posti migliori. Sostiene, invece, che lo Stato è parte integrante del problema sociale che affrontiamo. Il controllo dell’apparato statale è sempre appannaggio di una piccola élite politica, il cui potere si basa sul controllo degli apparati dell’amministrazione e dei mezzi di coercizione. Questi possono essere sfruttati da questa élite per accumulare ricchezza, anche impossessandosi dei mezzi di produzione. Queste caratteristiche essenziali non cambiano con la retorica e la propaganda: come sosteneva Mikhail Bakunin, “la gente non si sentirà meglio se il bastone con cui vengono colpiti è etichettato come il bastone del popolo”.

Lo Stato “Predatore”

Ciò che è avvenuto in Zimbabwe negli anni 2000 è un esempio estremo della struttura dello Stato, in cui l’élite statale è indistinguibile dalla principale élite economica, che gestisce tutto l’enorme sistema statale per estrarre ricchezza dalla società. La classe dominante locale è racchiusa nello Stato e lo usa direttamente per accumulare ricchezza e mantenere il sistema classista. Dirige direttamente ampie parti dell’economia ed è coinvolto nel settore privato attraverso fitte reti di corruzione, clientelismo e alla ricerca di rendite.

Tutto ciò coinvolge in gran parte l’esercito e principalmente passa attraverso lo ZANU-PF. Lo Stato depreda la società civile, estraendo ricchezza nei modi più distruttivi – è “predatore”, appunto – e le sue figure principali semplicemente non possono permettersi di perdere il controllo sulle posizioni chiave dello Stato attraverso elezioni libere. Questo è alla base della repressione inflitta ai contestatori ed anche alla base della violenza che intercorre tra le varie fazioni della classe dominante.

Come inoltre sottolinea l’anarchismo, nessuna soluzione per le classi popolari avverrà tramite il coinvolgimento statale, in altre parole attraverso un partito alternativo, come l’MDC, o attraverso una rivoluzione dell’apparato statale, o un colpo di stato militare. Lo stato serve sempre gli interessi di una piccola classe dominante – la forma predatoria, come nel caso dello Zimbabwe, è solo un esempio estremo. Il problema non riguarda chi è in carica o quale partito politico governa: lo stato come forma di organizzazione è parte fondamentale del sistema classista. Le sue caratteristiche principali non vengono modificate cambiando volto, non più di quanto un’auto possa diventare un aereoplano se la dipingi in tal modo.

Quando, poco più di un anno fa, lo Zimbabwe diede felicemente l’addio al vecchio dittatore, Mugabe, non avvenne alcun cambiamento sistemico. La rimozione di Mugabe fu un colpo di stato militare che assunse le parvenze di un cambiamento democratico, ma fu semplicemente un cambio di potere tra fazioni e personaggi della classe dominante; non fu un movimento il cui potere era lontano dalla classe dominante.

Dal Potere Statale al Contro-Potere

L’anarchismo, alla luce di tutto questo, sostiene che ciò che occorre non è la costituzione di un nuovo partito o la corsa alle elezioni, ma la mobilitazione di massa, l’organizzazione e l’istruzione come base per un trasferimento diretto di potere alla gente, alle assemblee dal basso, ai consigli e comitati – lontano, cioè, dallo Stato e dalle corporations.

Gli anarchici, come sosteneva Bakunin, preferiscono “mille volte”, ovviamente, elezioni libere ed eque ai regimi basati sull’uso di “munizioni, fruste e mitragliatrici” sui manifestanti che, così come fanno ora, lottano per migliori salari, più posti di lavoro, e per l’abbassamento del prezzo del carburante. Vedono però queste lotte quotidiane incapaci di cambiare la natura fondamentale del sistema.

Pertanto, è importante lottare per migliorare le condizioni deplorevoli dello Zimbabwe, occorre però farlo come parte di un processo di costruzione di un contro-potere popolare; inquadrare le lotte per le riforme come preziose in sé ma anche come spazi per organizzare ed educare le masse ad una rivoluzione che possono rivendicare per sé, una completa assunzione della direzione della società attraverso movimenti democratici di massa.

Lo sciopero nazionale avvenuto all’inizio del 2019 mostra il grande potenziale delle classi popolari ed è stato particolarmente interessante vedere i sindacati ZCTU unirsi all’appello e mobilitarsi. Gli anarchici credono che il sindacato sia un’istituzione che può aiutare i lavoratori ad organizzarsi per le riforme, soprattutto però che i sindacati debbano rigenerarsi per far parte del processo di costruzione di nuove relazioni sociali, cioè come presidio di contro-potere e, in quanto tali, contribuire alla costruzione del nuovo popolo dello Zimbabwe.

Un nuovo Zimbabwe è possibile, ma dobbiamo lottare per questo, tenendo presente che l’obiettivo immediato deve essere quello di costruire contro-potere popolare, coinvolgendo l’organizzazione di massa, grazie ad un’educazione politica diffusa, che si spera possa crescere fino a creare un movimento libertario su vasta scala, in grado di attuare una rottura con lo Stato. Un nuovo Zimbabwe non potrà scaturire da un partito politico, men che meno da militari sotto controllo statale; richiederà molto più che estromettere lo ZANU-PF. Piuttosto, esso può essere creato solo da gente comune.

Per fare ciò, è ora necessario andare oltre le proteste e passare alla costruzione di un’organizzazione anarchica rivoluzionaria e specifica nel sofferente Zimbabwe. Un’organizzazione che svilupperà un programma chiaro che attiri persone da tutti gli angoli del paese, che collabori con i sindacati e i poveri, i commercianti di strada ed i piccoli contadini, per costruire istituzioni di contro-potere che si oppongano Sllo stato, difendano le persone e indichino una nuova alba.

Leroy Maisiri (ZACF)

Traduzione di Flavio Figliuolo

NOTE
[1] Rapporto della commissione d’inchiesta sulla violenza post-elettorale del 1 agosto 2018. http://manicapost.co.zw/wp-content/uploads/2018/12/Final-Report-of-the-Commission-of-Inquiry.pdf
[2] Teoria, ideologia e pratica politica, dal testo Huerta grande della FAU: http://blackrosefed.org/huerta-grande/

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